L'ultima generazione in bilico: la disobbedienza contro l'inferno climatico

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Negli ultimi mesi, il dibattito italiano sulla crisi eco-climatica ha un nuovo protagonista: Ultima Generazione. Conosciuta per azioni che creano trambusto mediatico e non, la narrazione che la racconta la dipinge spesso come un gruppo di vandali che causano più danni ambientali di quelli che effettivamente risolvono. Gabriella, ventidue anni e attivista di Ultima Generazione nel suo gruppo siciliano, sostiene chiaramente che non è così e spiega l’identità del gruppo e il suo intento da un punto di vista interno.

Chi siete e come nascete?

Ultima Generazione nasce ormai più di un anno fa come movimento ambientalista, il primo che ha deciso di attuare una disobbedienza civile non violenta. Fa parte di una rete più ampia, nota come Rete A22. È attiva in altri Paesi, come la Germania: era presente alla manifestazione ecologista di Lutzerath per esempio, dove la polizia tedesca ha fermato Greta Thunberg.

Quanti siete? E come siete organizzati?

Siamo un gruppo nazionale. Al momento siamo tra gli ottanta e i cento attivist*. Non siamo ancora in ogni città, ma stiamo crescendo e di conseguenza sta aumentando il numero di gruppi locali. Siamo persone di ogni età accomunate dall’urgenza di agire per limitare i datti fatti soprattutto dalle generazioni passate, che hanno sfruttato le risorse del Pianeta letteralmente come se non ci fosse un domani.

I rapporti con gli altri gruppi di Rete A22?

Fare parte di una rete ci permette di avere una certa forza, perché si uniscono le forze. Si condividono successi, come il blocco del traforo del Monte Bianco con il gruppo francese di Dernière Rénovation oppure la street parade di Roma in occasione della Giornata mondiale della Terra di quest’anno. Cosa vi differenzia dagli altri movimenti ambientalisti? La peculiarità principale di Ultima Generazione è la disobbedienza civile, che si traduce in imbrattamenti con vernice vegetale, blocchi stradali e incollamenti.

Perché proprio questo metodo di lotta?

Lo abbiamo scelto per la sua efficacia nella storia. Le suffragette hanno fatto disobbedienza civile non violenta. Martin Luther King e gli attivisti afroamericani l’hanno usata: salivano semplicemente sugli autobus e venivano picchiati, anche se era loro diritto. Gandhi contro il dominio britannico ha disobbedito civilmente. Quindi la scelta è stata trovata nella storia, dall’esempio di lotte che hanno avuto un senso.

Che forma prende la vostra non-violenza?

Si esplica nel non rispondere agli attacchi dell’automobilista violento o del poliziotto aggressivo: siamo trascinati e strattonati ma cerchiamo di non reagire con la stessa veemenza. Al contrario, ricerchiamo il dialogo, il confronto. Anche in commissariato, una situazione che non si vede: spesso proviamo a discutere della questione che ci ha portati lì con le forze dell’ordine. In generale, cerchiamo di usare empatia con chiunque ci si ponga davanti sulla base della consapevolezza che siamo tutti nel mondo in modo uguale e nel tentativo di comunicare l’urgenza della causa che portiamo avanti.

E come disobbedite?

Partiamo dal presupposto che partecipare alle manifestazioni non è più abbastanza. È diventato un contentino. Organizziamo imbrattamenti con vernice vegetale e carbone vegetale, blocchi stradali e accodamenti. Qual è la risposta alle vostre azioni? Non così negativa come ci si potrebbe aspettare. Prendo ad esempio i blocchi stradali. Ultimamente è aumentata la violenza degli automobilisti contro gli attivisti, ma qualcuno (poche persone) ci ha difeso. Nel blocco a Fiumicino dello scorso 15 maggio diverse persone hanno difeso le compagne e i compagni. Questo mi dà speranza, mi fa pensare che lentamente stia avvenendo una presa di consapevolezza.

I vostri sono tutti atti che fanno scalpore…

Direi per fortuna, così possiamo destare l’attenzione del Governo, che è il nostro principale interlocutore. Da troppo tempo lu mediu cittadinu è quasi incriminato della situazione perché non chiude l’acqua mentre si lava i denti. Ma è da chi sta in alto che deve venire la spinta sostanziale al cambiamento. Noi da cittadini e cittadine stiamo chiedendo che questa democrazia sia più attiva e rappresentativa rispetto alla questione centrale della crisi eco-climatica. Vorremmo più tavoli di confronto con la politica. Per arrivare alla politica, avete però bisogno di persone dalla vostra parte: avete bisogno di “fare massa”.

Non avete paura che le vostre azioni, insieme al modo in cui siete raccontati da parte dei media, allontani da voi il consenso di chi invece può essere fondamentale per la vostra lotta?

Abbiamo avuto dei dubbi a riguardo, come penso sia normale e legittimo. La preoccupazione è stata più iniziale, comunque: ora, come ti dicevo, la gente si sta avvicinando. Alimentare questo afflusso non è facile per noi, perché richiede che rallentiamo la nostra marcia per fermarci a spiegare chi siamo, cosa facciamo e perché. Ma è un rallentamento che sta dando frutti. Anche per questo ora stiamo puntando di più sull’informazione rispetto alle nostre azioni.

Come lo fate?

Organizziamo incontri sono aperti al pubblico, di persona e online. Chi partecipa può discutere di quanto viene detto. Le presentazioni online in particolare possono aiutare la gente ad avere un primo approccio perché non sono così vincolanti come quelli in presenza. Io sono entrata così, attraverso il web. In ogni caso, con questi scambi le persone possono capire che non siamo ecovandali o mafiosi, come letteralmente ci imputano di essere visto che ci accusano di associazione a delinquere. Sono funzionali. Chi è lì spesso riconosce in noi la sua stessa angoscia. Sul fronte interno, stiamo organizzando formazioni per permetterci di comunicare meglio il movimento. Per esempio, stiamo educando tutt* su come spiegare cosa siano le vernici vegetali che usiamo.

Nessuna contestazione durante questi eventi?

Non nego che c’è anche chi viene solo per criticare. Ma dove questa cosa non accade? Ovunque si discuta di un tema caldo avviene la contestazione.

Torniamo alla politica. Qual è il vostro rapporto con lei?

All’interno del movimento non c’è interesse al passaggio da attivista a politic*. Siamo persone estremamente preoccupate per la situazione eco-climatica e insieme conscie di avere diritti e doveri all’interno del proprio Paese. Vogliamo interloquire con la politica, non entrare nelle istituzioni. Il punto fondamentale è fare cambiamenti. Il nostro punto di vista è “faccio parte di una democrazia, sento l’esigenza il dovere il diritto di dire la mia: per favore, tu che in politica ci stai ascoltami. Perché la mia lotta in realtà è la tua.”

Cosa chiedete al Governo, il vostro interlocutore ideale?

Dialogo e politiche efficaci. La richiesta di fondo rimane il confronto con le istituzioni. Circa un anno fa, a maggio 2022, siamo riusciti a ottenere un tavolo con l’allora ministro della Transizione ecologica Cingolani per discutere delle misure prese dall’Italia di fronte alla crisi eco-climatica. Lo consideriamo un successo, anche se non sufficiente. Al momento la nostra campagna principale, che coincide con la nostra richiesta principale, è “Non paghiamo il fossile”. Vogliamo la dismissione di tutti le forme di produzione di energia da fonti fossili, come le centrali al carbone. Vogliamo che si smetta di finanziare i combustibili fossili con i nostri soldi. Ad oggi è come se ogni famiglia italiana regalasse uno stipendio alle lobby del gas e del petrolio. È aberrante e alienante: stiamo pagando chi ci ucciderà. E nonostante sia noto, è un meccanismo che non si riesce a fermare perché tocca gli interessi di pochissimi ricchi. Le conseguenze di questa inattività peseranno però sulla classe più povera: quando arriverà, la desertificazione o le alluvioni costanti costringeranno i poveri a farsi guerra tra loro per un pezzo di pane o un’insalata. A confronto, la poca disponibilità di carta igienica durante il Covid sarà una bazzecola.

Qual è la vostra soluzione?

La nostra richiesta implica un inizio effettivo di transizione verso le rinnovabili. Abbiamo una serie infinita di risorse come Paese, l’eolica per esempio.

Che modello proponete?

Non abbiamo bisogno di elaborare un modello perché il modello esiste già, se solo l’Italia rispettasse gli accordi sul clima che ha preso a più riprese. L’ultimo parla di produrre e utilizzare 70 Gigawatt di energia da fonti rinnovabili entro il 2030. È un obiettivo virtuoso, ma attualmente irraggiungibile: ogni anno, l’uso di energie rinnovabili aumenta di solo il 6%. A questi ritmi, non raggiungeremo i 70 Gigawatt nemmeno nel 2046.

Tutte queste informazioni da dove le ricavate?

Ci informiamo, leggiamo, studiamo. Prendiamo i dati da fonti verificate come Legambiente e collaboriamo con gruppi di ricerca ambientalisti come Scientist Rebellion. Dentro il nostro movimento, ci sono poi attivist* che si occupano per studi o per professione di crisi eco-ambientale: portano tutt* le loro conoscenze dentro il gruppo. Io per esempio studio chimica e ti posso dire che le vernici vegetali inquinano molto meno delle piogge acide che stiamo causando.

Qual è la più grande preoccupazione di Ultima Generazione, insieme alla crisi eco-climatica?

Penso quella di non venire ascoltata. Ma non credo ci fermeremo. L’angoscia è troppa, accresciuta anche dai disastri eco-ambientali delle ultime settimane nelle Marche e in Romagna. Siamo determinati a proseguire: alcune persone hanno annullato la propria vita in funzione di Ultima Generazione, alla quale io devo tanto.

La (possibile) più grande sconfitta del movimento?

Che gli anni passino e gli eventi atmosferici si aggravino. Che la crisi eco-climatica si scateni completamente. Dopodiché, come la scienza afferma e prova, l’Italia sarà deserto al Sud e tutta acqua al Nord. Le catastrofi sono iniziate altrove, noi siamo privilegiati perché abbiamo ancora poco tempo. Quello che ci aspetta è triste, come le sue conseguenze. Dobbiamo fare qualcosa ora, con urgenza. 

 Gabriella chiude sottolineando la velocità con cui il partito della premier Meloni, Fratelli d’Italia, ha elaborato un disegno di legge sugli eco-vandali: una settimana. Il testo, approvato dal Consiglio dei Ministri ad aprile, prevede pene severe per cui imbratta o deturpa edifici pubblici, di culto e sottoposti a tutela dei beni culturali: divieti di avvicinamento, multe oltre i 60.000 euro e reclusioni fino ai tre anni. A novembre 2022, il senatore leghista Claudio Borghi aveva già depositato un disegno di legge simile come risposta alle azioni ambientaliste in musei, gallerie, pinacoteche e luoghi d’esposizione in genere. Anche in questo caso, chi danneggia o deturpa un bene di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico o bibliografico. Borghi proponeva poi di modificare il codice penale per consentire alle forze dell’ordine di arrestare chi colto in flagranza di reato. Entrambi i ddl devono ancora essere esaminati in Parlamento. Gabriella osserva come la velocità di reazione alle azioni di Ultima Generazione che hanno ispirato queste potenziali nuove norme riveli che il Governo Meloni ha intenzione di usare e inasprire la repressione per affrontare il movimento. Ripete che il movimento non si fermerà né si farà distrarre dalla minaccia della violenza. A conferma di ciò, le fa eco da lontano un altro attivista di Ultima Generazione: all’indomani del ddl di FdI, Simone Ficicchia ha infatti dichiarato ad Adnkronos che il movimento è molto sorpreso “nel vedere una maggioranza che invece di occuparsi di crisi climatica è sempre più attiva nel promuovere leggi ad hoc per punire azioni non-violente messe in campo da persone preoccupate per il futuro di tutti”.

Intervista a cura di Carlotta Zaccarelli

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