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Ivana Borsotto racconta la lotta per aumentare l’impegno nella cooperazione internazionale
Diplomazia popolare
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Ivana Borsotto - Foto: Facebook.com
Unimondo ha intervistato Ivana Borsotto, portavoce della Campagna 070 e presidente di Focsiv.
La Campagna 070 è promossa dal 2022 dalle 3 reti delle Organizzazioni della società civile attive nella cooperazione internazionale: AOI, CINI e LINK 2007 e da Focsiv, con l’importante supporto del Forum del Terzo Settore, di ASviS, di Caritas italiana e di Missio.
Partiamo dai dati sugli aiuti pubblici allo sviluppo. L’Italia quanto destina attualmente alla cooperazione internazionale e qual è il trend di aiuti da parte del Paese?
Il dato più recente Ocse Dac per il 2023 indica una riduzione dell’impegno italiano allo 0,27%. Sono pari a 5,5 miliardi di euro.
Di queste risorse circa il 25% dell’aiuto,1,5 miliardi di euro, è speso per la prima accoglienza dei richiedenti asilo. Sono soldi importanti per la politica dell’Asilo ma non sono cooperazione allo sviluppo, ovvero risorse che vengono spese per la lotta alla povertà e alle disuguaglianze nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo (Pvs). 3 miliardi sono versati per la cooperazione dell’Unione europea, delle Nazioni Unite e delle Banche di sviluppo, e il restante miliardo è il cosiddetto aiuto bilaterale ovvero i doni e i prestiti agevolati che il governo italiano dà ai Pvs. Di questi in media circa il 10% è costituito dai crediti di aiuto e il resto per progetti gestiti dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) e messi a bando per i progetti delle organizzazioni non governative. Negli ultimi dieci anni gli aiuti sono oscillati sempre tra lo 0,2 e lo 0,3%. Non c’è mai stato un trend crescente verso l’obiettivo dello 0,7 del reddito nazionale lordo all’aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri, così come sancito da oltre 50 anni dalle Nazioni Unite e ribadito con gli Obiettivi dello sviluppo Sostenibile.
Qual è la situazione degli altri Paesi europei? Come si colloca l’Italia nella classifica dei Paesi donatori europei ed esiste un pressing favorevole dell’UE al rispetto del punto dell’Agenda 2030?
Storicamente il nostro Paese non è mai stato tra i Paesi più generosi nell’aiuto pubblico allo sviluppo. Gli ultimi dati ci dicono che siamo sotto la media dei donatori a scala mondiale, che è pari allo 0,37% del reddito nazionale lordo. Insomma, l’Italia conta poco nella cooperazione internazionale, mentre tra i Paesi europei spiccano Paesi più forti come la Germania e la Francia, e la Gran Bretagna (intorno al 0,8 e 0,6%), ma anche Paesi che tradizionalmente sono stati sempre favorevoli all’aiuto, come la Svezia e la Danimarca. Certo, ogni Paese decide per suo conto ma l’Unione Europea con la sua politica di consenso sulla cooperazione allo sviluppo si è data il traguardo dello 0,7% entro il 2030.
Le promesse disattese della governance politica risultano quasi una abitudine per il mondo della cooperazione internazionale. Tuttavia iniziano a montare polemiche sul cosiddetto Piano Mattei, lanciato dal governo Meloni per rilanciare il rapporto con l’Africa. In concreto cosa si è fatto con il Piano sinora e cosa prevede? Cosa ne pensa la cooperazione non governativa italiana?
Il Piano Mattei è apprezzabile per la sua intenzione di attuare un modello di partenariato vantaggioso per tutte le parti, lontano da logiche paternalistiche o predatorie ma potrà essere valutato positivamente solo quando saranno resi noti e realizzati i contenuti operativi previsti. In questa prospettiva è importante, in primo luogo, dare vita a un sistema equilibrato di programmi e di progetti che distingua tra cooperazione allo sviluppo in senso specifico quella riconosciuta dalla Legge 125/2014 come “parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia” e la promozione economica, quella delle esportazioni e degli investimenti, così come tra tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici e l’approvvigionamento e lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, come oggi recita il Piano Mattei. E deve essere evidente la consapevolezza che lo sviluppo non può fondarsi solamente sul capitale economico, ma necessita di capitale umano, di capitale relazionale e di capitale sociale ed istituzionale. Altrimenti Il Piano Mattei rischia di essere l’ennesima promessa politica inconsistente e poco credibile.
La retorica è tanta ma una effettiva nuova attenzione verso l’Africa è provata dalle numerose visite di Stato nei Paesi africani. L’attenzione politica è indubbia ed è stata creata una cabina di regia al più alto livello presso la Presidenza del Consiglio, a cui partecipano le principali reti di ONG. Ma le risorse non ci sono, o meglio sono quelle già stanziate dal governo Draghi con il Fondo italiano Clima e per l’aiuto pubblico allo sviluppo. Si tratta di 5,5 miliardi di euro da spendere nei prossimi anni. Non sono risorse nuove ed aggiuntive. E per i contenuti si parla di grandi progetti con grandi imprese italiane, che appaiono piegati ad interessi nazionali energetici ed alimentari. Le comunità vulnerabili africane non sono al centro, e la società civile africana non è coinvolta. Inoltre, la portata di questa iniziativa italiana potrà essere pienamente efficace se coordinata con gli strumenti e le risorse comunitarie nell’ambito di una nuova stagione delle politiche di sviluppo europee verso l’Africa e il Mediterraneo. Considerata la vastità dell’obiettivo è inimmaginabile che l’Italia da sola ce la possa fare.
La Campagna 070 sta raggiungendo successi? Come potrebbe essere rafforzata e raccogliere più ampie adesioni da parte della società civile e della politica?
La Campagna ha un compito ambizioso, quello di incalzare il Parlamento e il Governo perché si impegnino fattivamente per raggiungere lo 0,7% entro il 2030, con un calendario di aumenti, graduali, ma vincolanti. Abbiamo parlato con numerosi politici ed istituzioni, ma i risultati sono solo parzialmente soddisfacenti. In questi due anni abbiamo comunque visto crescere l’attenzione del Parlamento e del Governo nei confronti di questo impegno internazionale. Così la Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, nella Relazione sul Bilancio di previsione dello Stato 2024, ha richiesto che si “valuti l’opportunità di programmare, nel rispetto dei vincoli di bilancio, un aumento graduale e di lungo periodo delle risorse complessive destinate alla cooperazione e allo sviluppo al fine di consentire, in un arco temporale definito, il pieno riallineamento dell’Italia agli impegni internazionali assunti in materia.”. Il Parlamento, inoltre, ha approvato la mozione presentata dalla maggioranza sulla COP28, svoltasi a dicembre scorso a Dubai, che impegna il Governo ad “adottare iniziative per il raggiungimento dell’obiettivo di una quota pari allo 0,70% del Pil in aiuti allo sviluppo, destinando il 50% di queste risorse alla lotta per il cambiamento climatico”.
Lo 070 è ormai riconosciuto come elemento centrale del dibattito sulla politica estera dell’Italia, in cui più volte si ribadisce il ruolo della Cooperazione come sua parte integrante e qualificante. Forse iniziano a portare i loro frutti le molteplici iniziative di sensibilizzazione realizzate da AOI, Cini, Link 2007 e dalla Focsiv in collaborazione con Caritas, Missio, FTS, Asvis e altre decine di Associazioni italiane. Mi riferisco ai numerosi convegni nazionali e locali, l’interlocuzione con gli Enti locali, gli Odg approvati da Consigli Comunali, le attività informative nelle scuole, il progetto “Generazione cooperazione”, i corsi di formazione per giornalisti, i flash mob, gli articoli, le interviste, gli appelli e le nostre pressioni.
Ma l’attenzione politica ha altre priorità. È ancora limitata l’attenzione strategica alla cooperazione internazionale e oggi dell’urgenza di impegnarsi per un villaggio globale più giusto, in modo da scongiurare guerre e povertà. C’è bisogno di un maggiore coinvolgimento dell’opinione pubblica e di una migliore organizzazione e di una disponibilità di sistema delle Organizzazioni non governative. Per avere più attivisti capaci di cambiamento e fare più pressione sulla politica. Siamo consapevoli dei vincoli di bilancio con i quali il nostro Paese si deve misurare ma accrescere in tempi stretti il nostro investimento in cooperazione è la cartina di tornasole con la quale l’Italia dimostra la sua credibilità e affidabilità nelle relazioni e nelle istituzioni internazionali, assumendo anche in questo modo un ruolo da protagonista nella costruzione di un mondo più giusto e in pace.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.