Milpamerica: lo spazio digitale autogestito

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Immagine: Milpamerica

Codice aperto, dati protetti, server a basso impatto ambientale e zero discorsi d’odio: il social network delle popolazioni indigene creato dalle attiviste di Messico e Guatemala per proteggere i territori.  

Lontano dalle logiche imprenditoriali di Instagram e X, nasce il social network creato da giovani attiviste dei popoli indigeni Nahua, Purépecha, Zapotec, Maya Quiché e Ñuu Savi di Messico e Guatemala. Si tratta di Milpamerica, spazio digitale autogestito ideato dal collettivo Hackeo Cultural per condividere contenuti sulla difesa dei territori e sulla giustizia climatica.

“Non volevamo rinunciare all’attivismo digitale sui social, nonostante il dominio delle grandi corporazioni che controllano i dati e l’algoritmo” spiega Mitzy Violeta Cortés, 26, attivista Ñuu Savi del Messico, parte di Hackeo Cultural, “così abbiamo deciso di immaginare e creare uno spazio virtuale sicuro, non violento, con ridotto impatto ambientale totalmente gestito da noi”.  

Fanno parte del collettivo fondatore di Milpamerica, sette attiviste appartenenti a diverse popolazioni originarie mesoamericane che lavorano nel campo dell’educazione, della ricerca universitaria, della comunicazione comunitaria e multimedia. Tra loro anche la guatemalteca Andrea Ixchu, in esilio in Messico da diversi anni per sfuggire alle minacce ricevute, e l’attivista messicano Fede Cruz che, insieme ad altri attivisti, si è occupato del codice aperto di programmazione del social network. 

Grazie al loro lavoro, a fine 2024 è stato lanciato il social network Milpamerica, che ad oggi conta oltre 2.500 persone iscritte. La protezione dei dati personali è centrale, infatti sono immagazzinati nel server sicuro di Pixelfed (piattaforma globale di condivisione di immagini senza pubblicità e senza l’influenza di algoritmi che rispetta la privacy di chi lo utilizza). Ad oggi, il collettivo sta anche lavorando per mitigare il futuro consumo idrico dei data center.  

Il nome del social network nasce da Milpa, che in lingua indigena nahuatl significa “ciò che è seminato nel campo”, per identificare lo spazio virtuale come un luogo per proteggere la natura e recuperare la cultura. Per iscriversi c’è bisogno di compilare un form, che viene letto e approvato dal team. Dopo aver creato il profilo, si possono seguire utenti, condividere foto e video. Le attiviste si occupano anche della moderazione dei contenuti eliminando, come si legge sul sito, “espressioni razziste, classiste, machiste e di nessun altro tipo che possano essere violente verso le persone, le popolazioni o la madre terra”.  

Nel social network si condividono principalmente discussioni e contenuti relativi alla difesa del territorio, principalmente da Messico e Guatemala e da altri paesi del Latinoamerica. “Gli ultimi video pubblicati sono stati quelli che denunciano la necessità di proteggere un fiume nella zona di Veracruz, in Messico, uno sulle scuole comunitarie che si occupano di crisi climatica e un altro che smonta i falsi miti che circolano in rete sulle cerimonie Maya, per comprendere la cosmovisione del Guatemala,” spiega Cortés. “Ci arrivano anche tante foto e video anche dalle popolazioni brasiliane, infatti stiamo pensando di tradurre il social network anche in altre lingue, in primis il portoghese, per poter connettere e generare solidarietà con altri movimenti ambientali della regione. Per noi Milpamerica nasce come difesa del nostro territorio digitale, un social network al servizio dei popoli originari, un esercizio di immaginazione fuori dalle logiche estrattive, individualiste, impregnate di violenza e dai discorsi di odio online.” 

Secondo un rapporto del relatore speciale delle Nazioni Unite sulle questioni delle minoranze, Nicolas Levrat, il 70% delle vittime di crimini o discorsi d'odio sui social media sono minoranze linguistiche, religiose o etniche che hanno anche maggiori probabilità di essere colpite da restrizioni o rimozioni da parte dei sistemi di moderazione dei contenuti. E l'America Latina rimane tra le regioni più pericolose al mondo per attivisti ambientali, anche per quanto riguarda le violenze online. 

“Siamo state testimoni di diversi casi di persone vicine a noi che hanno sofferto violenza digitale ad esempio durante le ultime elezioni amministrative che si sono tenute in Messico o El Salvador,” ricorda Mitzy Violeta Cortés, che oggi vive a Città del Messico. È originaria di San Sebastián Tecomaxtlahuaca, paese situato nelle campagne di Oaxaca, nel Messico sud-occidentale, dove è parte di un collettivo femminile chiamato Kueñaá Ña’a Tsika Mujeres impegnato nella lotta alla violenza di genere e nella salvaguardia ambientale.  

Nei social network tradizionali è sempre più difficile condividere, visualizzare e valorizzare messaggi critici. Noi cerchiamo di fare hackeraggio della narrativa egemonica imposta dalle grandi corporazioni che hanno reso i social media spazi sempre più autoritari, di ultra destra e  repressivi verso chi si occupa di attivismo ambientale,” conclude. “L’idea per il futuro di Milpamerica è dar spazio alla voce delle popolazioni originarie della nostra regione e ai loro giornalisti e giornaliste locali che vivono i territori. L’obiettivo è denunciare e trovare soluzioni condivise nelle comunità poiché sappiamo che né i governi né le aziende risolveranno la crisi climatica. “ 

Monica Pelliccia

Monica Pelliccia è giornalista freelance. È specializzata in questioni sociali e ambientali, specialmente su tematiche come la tutela della biodiversità, i diritti delle donne, le migrazioni climatiche, le popolazioni indigene e i movimenti sociali. Ha realizzato reportage, fotoreportage e video, in particolare dal Centro e Sud America, come Honduras, Guatemala, Messico, Costa Rica, Brasile, Ecuador; dalla Palestina e da diversi paesi asiatici come Cambogia, Sri Lanka e India e dall’Europa pubblicati su testate italiane e internazionali come Mongabay, The Guardian, El Pais, L’Espresso e Altreconomia.

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