La transizione ecologica alimentare. Quale?

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Se vogliamo raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima e limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5° C o 2° C sopra i livelli preindustriali, la nostra alimentazione dovrà cambiare. Lo studio Global food system emissions could preclude achieving the 1.5° and 2°C climate change targets”, pubblicato lo scorso anno su Science da un team di ricercatori statunitensi e britannici guidato da Michael Clarck dell’Università di Oxford, ci ricordava che “Anche se le emissioni di combustibili fossili si interrompessero immediatamente, da sole le emissioni del sistema alimentare globale potrebbero aumentare le temperature di oltre 1,5 ° C”. Per i ricercatori angloamericani “Se vogliamo raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima ciò che mangiamo, quanto mangiamo, quanto viene sprecato e come viene prodotto il cibo dovrà cambiare drasticamente entro il 2050”.  Per Clarck  “Se si agisce velocemente, ci sono molti modi realizzabili rapidamente per ridurre le emissioni da cibo. Queste includono sia l’aumento dei raccolti che la riduzione della perdita e dello spreco di cibo, ma la cosa più importante è che le persone si spostino verso diete prevalentemente vegetali”. Allora come mai la Commissione europea ha speso per promuovere carne e latticini il 32% dell’intero budget del programma di promozione dei prodotti agricoli europei

Secondo Greenpeace European Unit, che in aprile ha presentato il rapporto Marketing Meatsono stati spesi a favore di prodotti di origine animale dal devastante impatto ambientale “252 milioni di euro in 5 anni, su un totale di 776,7 milioni di euro, a fronte di un più modesto 19% speso per promuovere frutta e verdura”. Per Sini Eräjää, campaigner agricoltura e foreste di Greenpeace, si tratta di un comportamento inaccettabile: “Mentre tutta la scienza ci dice di tagliare carne e latticini per la nostra salute e per la salute del pianeta, è inaccettabile che l’Ue spenda un quarto di miliardo di euro per accelerare i consumi. L’agricoltura e il consumo di carne e latticini industriali ci mettono a rischio di nuove pandemie, rovinano il clima e distruggono la natura. Per l’Unione è irresponsabile continuare a promuoverlo con i soldi dei contribuenti”. Greenpeace ha ricordato che l’Italia è uno degli Stati membri con il maggior numero di progetti approvati per finanziare con fondi europei campagne di promozione dell’agroalimentare. Si contano 65 campagne promozionali nel periodo 2016-2019, per un totale di oltre 124 milioni di euro spesi, una somma inferiore solo a quella ricevuta dalla Francia (oltre 125 milioni di euro). Anche nel Belpaese però “Più di un terzo dei progetti finanziati in Italia ha avuto come focus la promozione di carne e latticini: il 36%, per un totale di 45 milioni di euro. Più del doppio di quanto destinato alla promozione di frutta e verdura, alla quale è stato dedicato solo il 17% dei fondi europei (21 milioni di euro). Sul totale dei progetti italiani solo il 6% dei fondi sono stati utilizzati per la promozione di prodotti biologici”.

Secondo l’analisi "Promozioni bestiali" che Greenpeace Italia ha presentato sempre in aprile, “Questi numeri mostrano come le promesse di promuovere diete più equilibrate e più sane, contenute, ad esempio, nella strategia Farm to fork o nel piano europeo di lotta contro il cancro, non trovano al momento riscontro nella distribuzione dei fondi pubblici”. Per Simona Savini, che in Italia per Greenpeace segue la campagna agricoltura, “Molte campagne pubblicitarie cofinanziate dall’Unione europea invece di promuovere una riduzione dei consumi di carne e incentivare diete a base vegetale, cercano di invertire l’attuale tendenza che vede i consumi di carne e latticini calare o crescere più lentamente rispetto al passato. Il contrario rispetto a quanto raccomanda di fare la comunità scientifica per proteggere clima, ambiente e salute”. In queste settimane la Commissione europea è in fase di riesame della politica sulla promozione dei prodotti agricoli anche attraverso una consultazione pubblica attiva fino al 23 giugno, per arrivare a formulare una nuova proposta all’inizio del 2022. Parallelamente si stanno definendo i PNRR (piani nazionali di ripresa e resilienza), nei quali si deciderà la destinazione di ingenti fondi pubblici. Greenpeace chiede che non siano previsti finanziamenti pubblici per la promozione di carne e di prodotti lattiero-caseari frutto di allevamenti intensivi, visto che per essere sostenibile il consumo di carne e latticini dovrebbe essere ridotto almeno del 70% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050 rispetto ai livelli attuali: “È il momento di prendere atto degli impatti dannosi legati agli attuali livelli di consumo e produzione di carne e latticini nell’Ue, come ormai dimostrato ampiamente dalle evidenze scientifiche”. Come? “Serve stabilire obiettivi politici chiari per la loro riduzione. Porre fine al finanziamento pubblico di progetti che mirano a promuovere e aumentare il consumo di carne e latticini (dentro e fuori la Ue) e destinare invece i finanziamenti alla promozione di diete principalmente a base vegetale”. Occorre, insomma, porre fine al finanziamento pubblico del sistema di allevamento intensivo e utilizzare le risorse per fornire alle aziende il necessario sostegno economico per una transizione ecologica dei metodi di allevamento e delle pratiche agricole.

Siamo davanti ad un bivio. Se le tendenze alimentari attuali continueranno così (o come è prevedibile peggioreranno), le emissioni dei sistemi alimentari supereranno l’obiettivo di 1,5° C entro 30 – 45 anni e potrebbero superare l’obiettivo di 2° C entro 90 anni, anche se tutte le altre fonti di emissioni di gas serra si fermassero immediatamente. Se poi altre fonti di emissioni di gas serra raggiungessero lo zero solo entro il 2050, l’obiettivo di 1,5° C verrebbe in ogni caso superato in 10 – 20 anni e l’obiettivo di 2° C entro la fine del secolo. Invece, passando quasi completamente a una dieta ricca di vegetali in tutto il mondo si potrebbero tagliare quasi 720 miliardi di tonnellate di gas serra. Impossibile? Riuscire a ridurre le emissioni prodotte dai sistemi alimentari con un’azione coordinata tra l’industria del cibo e i governi nazionali potrebbe avere anche ulteriori vantaggi oltre a ridurre l’inquinamento, “Ad esempio combattere la scarsità dell’acqua, aumentando la biodiversità e riducendo il tasso di incidenza di condizioni fisiche e malattie legate all’alimentazione come obesità, diabete e malattie cardiache”. Insomma ci conviene, in ogni caso!

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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