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One Planet Health!
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Foto: Unsplash.com
A poco più di un anno da quel primo lockdown che ha bloccato l’Italia (e buona parte del Mondo) l’analisi dei media è ancora quasi esclusivamente concentrata sulle conseguenze immediate di questa pandemia: vaccinare più persone possibili e salvare così le persone e l’economia dal Covid-19. Giusto! Ma la nostra risposta a questa emergenza dovrebbe poter andare oltre, ed affrontarne alla radice le cause di questa pandemia, che non sono naturali, impreviste e inevitabili. Come aveva ricordato un anno fa Andrew Cunningham, vicedirettore della Zoological Society of London, “L’emergere e la diffusione del Covid-19 non era solo prevedibile, ma era previsto ci sarebbe stata un’insorgenza virale proveniente dalla fauna selvatica che sarebbe stata una minaccia per la salute pubblica”. Nel 2007, lo studio “Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus as an Agent of Emerging and Reemerging Infection”, pubblicato su Clinical Microbiology Rewiews da un team di scienziati dell’università di Hong Kong ci ricordava che “La presenza di un grande serbatoio di virus simili alla Sars-CoV nei pipistrelli ferro di cavallo, insieme alla cultura del consumo di mammiferi esotici nella Cina meridionale, è una bomba a orologeria”. Nel 2012, nel saggio narrativo “Spillover”, lo scrittore e divulgatore scientifico David Quammen, coniugando la storia letteraria e l’analisi scientifica delle grandi epidemie, si chiedeva se la prossima non potrebbe saltar fuori da “un mercato cittadino della Cina meridionale” e lo scorso anno ci ricordava che “Siamo stati noi a generare l’epidemia di Coronavirus. Potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l’attività umana a scatenarla”. Nel 2015 è stata la volta del celebre Ted di Bill Gates nel quale ricordava come “Nel 2014, il mondo ha evitato un’orribile epidemia globale di Ebola, grazie a migliaia di operatori sanitari altruisti e, francamente, grazie a molta fortuna. Con il senno di poi, sappiamo che avremmo dovuto fare meglio”. Un anno dopo, nel 2016 lo studio dell’United Nations environment programme (Unep) “Emerging issues of environmental concern”, ci ricordava che “Le zoonosi [cioè le malattie trasmesse dagli animali all’uomo] sono ormai una concreta minaccia per lo sviluppo economico, il benessere animale, la salute umana e l’integrità degli ecosistemi”.
È chiaro che i responsabili di questa pandemia non sono pipistrelli, pangolini o altri mammiferi esotici, ma siamo noi e in occasione dell’anniversario del primo lockdown in Italia, anche il Wwf ha voluto richiamare l’attenzione sul “legame che esiste tra la salute della natura e quello del genere umano, evidenziando come un rapporto “malato” con l’ambiente che ci circonda e con le specie che lo popolano, siano, spesso, alla base di epidemie e pandemie”. La ong ha spiegato che “Con oltre 2,5 milioni di morti nel mondo, di cui più di 100 mila in Italia, il Covid-19 è diventata una tra le epidemie più letali della storia: ma non è la prima e, purtroppo, rischia di non esser l’ultima". In meno di 20 anni, si sono verificate altre tre gravi epidemie che hanno toccato la popolazione umana: nel 2003 è comparsa la SARS, nel 2009 si è diffusa una epidemia di influenza aviaria H1N1 e nel 2012 è comparsa la MERS. E ancora, Ebola, Zika, HIV/AIDS, febbre del Nilo occidentale sono altre gravissime epidemie degli ultimi decenni. "Sebbene siano emerse in diverse parti del mondo, tutte queste malattie epidemiche hanno una caratteristica in comune: sono quelle che gli scienziati chiamano “zoonosi”, malattie presenti negli animali che hanno fatto il cosiddetto “salto di specie” (o “spillover”) verso l’uomo”. Come ha dimostrato il Wwf nel report “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità” e come ha spiegato anche l’Unep nel rapporto ”Preventing the next pandemic”, la relazione tra ambiente, biodiversità, uomo e malattie zoonotiche è molto complessa, ma esiste. Allora perché ignorarla, se sappiamo che la gran parte delle malattie infettive con effetti spesso imprevedibili “sono favorite da attività umane" come l’agricoltura e l’allevamento intensivi, l’uso insostenibile o illegale della fauna selvatica, la distruzione e la trasformazione di ecosistemi naturali? Per il Wwf “Oggi, le zoonosi rappresentano il 60% delle malattie infettive conosciute e il 75% delle malattie infettive emergenti. Il numero di zoonosi trasmesse da animale a uomo è quasi triplicato negli ultimi 40 anni, complice l’azione dell’essere umano sull’ambiente”. Adesso “La pandemia provocata dal Covid-19 ha permesso di capire quanto i sistemi naturali siano indispensabili per proteggere la nostra salute e per ridurre la diffusione di pericolose malattie”.
L’equazione è semplice: più distruggiamo la natura, più rischiamo di scatenare malattie infettive ricorrenti ed emergenti. Gli ecosistemi sani, grazie ai complessi meccanismi che mantengono l’equilibrio tra le varie specie, hanno un ruolo importantissimo nel regolare la trasmissione di malattie, siano esse batteriche, virali o provenienti da altri agenti patogeni. “Quando l’uomo interviene su questi equilibri, alterandoli, aumenta il rischio di trasmissione di malattie che possono facilmente trasformarsi in epidemie o pandemie. Quando abbattiamo foreste, cancelliamo habitat, spingiamo gli animali in aree sempre più frammentate, li cacciamo, li traffichiamo e li sottoponiamo a stress, alteriamo gli equilibri naturali favorendo il salto di specie dei virus e la trasmissione di altri patogeni” ha concluso il Wwf. Secondo l’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services (Ipbes) oggi dei circa 1,7 milioni di virus che circolano fra mammiferi e uccelli, la metà potrebbe fare il salto nell’uomo. Che fare? Se, finita questa, vogliamo evitare di dover fronteggiare un’altra pandemia, occorre “Ridurre drasticamente gli effetti della lunga lista di fattori e attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura e diminuendo lo sfruttamento insostenibile delle regioni del Pianeta, ricordandoci, come ha sintetizzato Papa Francesco, che non possiamo illuderci di rimanere sani in un Pianeta malato”. Insomma basta applicare in maniera efficace e diffusa l’approccio “One Planet Health” e farlo subito, visto che prevenire le pandemie costa molto meno che curarle e non solo in termini di vite umane.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.