Il futuro è (era) in un volo d’ape

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Foto: Unsplash.com

Quasi il 90% delle piante selvatiche da fiore ha bisogno di impollinatori, come api, vespe, farfalle, coccinelle, ragni, rettili, uccelli e anche mammiferi indispensabili per trasferire il polline da un fiore all'altro e completare la riproduzione. Queste piante sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi e la conservazione delle specie e degli habitat e in generale della diversità biologica, che rappresenta la base della nostra esistenza e delle nostre economie. Anche nel processo di produzione alimentare oltre il 75% delle principali colture agrarie beneficia dell'impollinazione operata da decine di migliaia di specie animali (tra questi almeno 16 mila sono insetti) in termini di produzione, resa e qualità. Il volume di raccolti delle colture dipendenti dagli impollinatori è triplicato negli ultimi 50 anni e la produzione agricola mondiale direttamente associata all'impollinazione animale rappresenta un valore economico stimato tra i 235 e i 577 miliardi di dollari. Oggi però “I servizi ecosistemici di cui l’uomo e l’ambiente beneficiano ogni giorno grazie all’impollinazione sono a rischio poiché è in pericolo l’esistenza stessa degli impollinatori”. L'allarme non è certo nuovo, ma la situazione continua a peggiorare, come ha certificato negli scorsi mesi il WWF con la pubblicazione del dossier Il futuro in un volo d’ape: perché salvare gli impollinatori significa salvare noi stessi, realizzato nell’ambito della campagna Our FutureSecondo questo studio “Oltre il 40% degli impollinatori invertebrati rischia l’estinzione a livello globale, mentre in Europa, quasi la metà degli insetti impollinatori è in declino e un terzo è minacciato di estinzione”.

Il documento, che accende i riflettori su una crisi ambientale tanto silenziosa quanto drammatica, mette in evidenza come la sopravvivenza di api, farfalle, bombi e altri insetti impollinatori sia sempre più minacciata da una serie di fattori che spesso agiscono in sinergia tra loro. Tra i principali troviamo la distruzione, degradazione, perdita e frammentazione degli habitat, l'inquinamento da pesticidi prodotti da modelli agricoli insostenibili, i cambiamenti climatici e la diffusione di specie aliene invasive. Con la sopravvivenza degli impollinatori è però a rischio anche la nostra. Alcuni alimenti di largo consumo come ad esempio zucche e zucchine, mele, mandorle, pomodori, fragole e cacao dipendono in larga parte dall’impollinazione animale. Questo è quello che in gergo ambientale si definisce “servizio ecosistemico”, cioè un beneficio che la Natura ci dona gratuitamente. Come riporta il dossier del WWF, il valore economico dell’impollinazione è molto più elevato di quello derivante dai prodotti diretti. “Secondo uno studio pubblicato quest'anno su Environmental Health Perspectivesla drastica riduzione dell’impollinazione sta già contribuendo a circa 500.000 morti premature all’anno, a causa della diminuzione di frutta, verdura e frutta secca nella dieta. Uno squilibrio nella disponibilità di cibi sani, ricchi di vitamine e micronutrienti, come quelli garantiti dagli impollinatori, può aumentare l’incidenza di malattie croniche come diabete, tumori e patologie cardiovascolari”. 

Per il WWF “A fronte di un problema così grave, le risposte politiche si dimostrano ancora troppo deboli”. Nel 2018 l’Unione europea ha vietato l’uso all’aperto di tre neonicotinoidi – pesticidi noti per i loro effetti devastanti sulle api – ma resta consentito il loro utilizzo nelle serre e in molti Paesi, tra cui l’Italia, sono state concesse deroghe che ne permettono ancora l’impiego. Inoltre “Il recente ritiro da parte della Commissione UE del Regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUR) ha rappresentato un passo indietro tanto nella protezione della biodiversità quanto, come conseguenza, nella tutela del nostro diritto alla salute”. Per Eva Alessi, responsabile sostenibilità del WWF Italia “È indispensabile un cambio di rotta decisivo che in primis deve essere definito dalle nostre istituzioni: vietare le sostanze chimiche più dannose, aumentare le superfici agricole dedicate alla conservazione della natura, sostenere l’agricoltura biologica e promuovere l’agroecologia”. L’approvazione della Nature Restoration Law da parte dell’Unione europea rappresenta un passo cruciale. Questa legge punta a ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’UE entro il 2030, inclusi gli habitat agricoli essenziali per gli impollinatori. “In particolare l’articolo 10 del Regolamento impegna tutti gli Stati membri dell’Unione europea a mettere in atto azioni per fermare il declino degli insetti impollinatori (Apoidei, Sirfidi e Lepidotteri) e rende obbligatoria la realizzazione di un monitoraggio costante per verificare lo stato di conservazione delle diverse popolazioni di insetti”. Per il WWF, è fondamentale che questa norma non rimanga un intento perché “Senza interventi strutturali e vincolanti, il declino degli impollinatori continuerà a minacciare il nostro futuro alimentare e ambientale”. Per questo il WWF Italia, da oltre 40 anni impegnato nella tutela degli impollinatori, rilancia l’appello a istituzioni, imprese e cittadini: “è il momento di agire”. A dirlo sono anche gli esperti dell'ISPRA che ci hanno recentemente ricordato come “In Italia sin dal 2003 sono stati segnalati eventi significativi di moria delle api, concentrati soprattutto in primavera, durante le fioriture, a causa dei trattamenti massivi con pesticidi operati sui suoli agricoli. La popolazione delle colonie di api in Europa, come in altre regioni del mondo, è in drastica diminuzione. Secondo una rete di ricerca internazionale, coordinata dall'Istituto di apicoltura dell'Università di Berna, la morte in massa di api in Europa è un problema grave e in aumento di anno in anno”.

Gli esperti dell'Istituto hanno inoltre ipotizzato che la tendenza negativa, sebbene fluttuante, possa essere potenzialmente maggiore nel lungo termine visto che “I dati disponibili evidenziano infatti un aumento dal 5% - 10% al 25% - 40% nelle morti invernali delle api e crescenti morie durante il periodo primavera-estate”. Per Greenpeace fermare l'estinzione di questi preziosi insetti è ancora possibile anche con iniziative apparentemente piccole e locali, ma capaci di combattere il declino della biodiversità come ad esempio il progetto “Bosco della api”. Il primo Bosco delle Api è nato a Roma nel 2020, anno in cui la pandemia ha reso evidente la necessità di rendere le città più sostenibili e resilienti ai cambiamenti climatici. Tre anni dopo, con la collaborazione della cooperativa sociale Agropolis, il progetto è stato replicato anche a Cremona, nel cuore della Pianura Padana, una delle aree più inquinate d’Europa. Si tratta di vere e proprie food forest, un sistema agroforestale multifunzionale che simula, su piccola scala, un ecosistema boschivo su più strati. In questo ambiente, piante da frutto, erbe medicinali, bacche, ortaggi e fiori convivono sinergicamente con piante spontanee e animali, creando un habitat ricco di biodiversità. Ambienti che per Greenpeace non solo favoriscono la conservazione della natura e degli insetti impollinatori, "Ma forniscono anche spazi per la ricreazione, l'istruzione e la costruzione di comunità”.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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