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Io non ho paura del lupo, e tu?
Montagna e scuola
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Foto: Unsplash.com
Io non ho paura del lupo. Un’affermazione forte, difficile per molti e a volte anche per i più coraggiosi, assurda per alcuni e scontata per altri, in ogni caso provocatoria. Perché il lupo incarna le nostre paure ataviche, rappresenta la simbologia dell’agguato, della minaccia, di una violenza fiera e misteriosa. Qualcosa in lui ci attrae e qualcosa ci fa rabbrividire. Non a caso, Io non ho paura del lupo è il nome e al contempo la dichiarazione di intenti di un’associazione formata da abitanti e lavoratori della montagna, cittadini, appassionati e professionisti della natura, nata nel 2016 con lo scopo di favorire la conservazione e la convivenza tra il lupo e le attività umane attraverso la divulgazione di informazioni corrette sul lupo e sulla grande fauna, l’attuazione di progetti di monitoraggio del lupo in Appennino e sulle Alpi con metodi di indagine non invasivi, la proposta di workshop didattici per i soci e di eventi per cittadini e allevatori e la promozione di campagne di comunicazione attraverso canali diversificati.
In pochi anni adesioni, attività e successi si sono moltiplicati: segnale inequivocabile di come sia necessario e utile, in modo radicale e urgente, diffondere informazioni corrette sul lupo, come per esempio si vede da questa mappa interattiva realizzata da volontari con il contributo di professionisti e privati che hanno elaborato dati raccolti sul campo per tracciarne la presenza e compiere un primo passo al fine di favorirne l’accettazione sui territori coinvolti. Già, quei lupi che, come da recente titolo del quotidiano online Il Dolomiti, “si riprendono le Alpi Orientali”. Affermazione che apparentemente sottintende conquista e invasione, ma che è invece e prima di tutto un’onesta descrizione della realtà dei fatti perché i lupi, a differenza degli orsi, non sono stati reintrodotti sui nostri territori da progetti transnazionali, ma hanno spontaneamente ripopolato i luoghi dai quali erano scomparsi come Trentino – Alto Adige, Friuli – Venezia Giulia e Veneto, restando in ogni caso, nonostante gli allarmi propagandistici ululati ai quattro venti da certe discutibili posizioni politiche e talvolta dagli stessi rappresentanti delle istituzioni, in numero contenuto (anche per l’elevato tasso di mortalità dei cuccioli, pari al 75%). Ad oggi, infatti, siamo tra gli 80 e i 110 esemplari stimati tra Alpi e prealpi Orientali, distribuiti quindi sul territorio di tre regioni e divisi in 20 nuclei, di cui 4 sono coppie singole.
Monitorare la presenza del lupo è un lavoro complesso e delicato che non può accettare strumentalizzazioni e che deve tenere in considerazione sia l’elevata mobilità della specie, sia il fatto che, per confermare la presenza di un branco, occorre rilevare, con l’avvallo anche di enti istituzionali, almeno due lupi di sesso opposto che si siano riprodotti almeno una volta e occupino un territorio stabile e ad uso esclusivo. E’ dunque convenzione che il posizionamento di un branco sia posto nell’area da cui lo stesso ha preso il nome, ma non significa che quel territorio rappresenti l’area principale o il centro dell’areale del branco. Il territorio di un branco, infatti, può essere compreso tra i 100 e i 250 km quadrati e i confini coincidono spesso con l’orografia del terreno, le valli, i corsi d’acqua, aspetto che ne rende maggiormente difficile, senza l’utilizzo di radiocollari o senza specifiche analisi genetiche, la mappatura.
Infine, quando si parla di lupi, occorre tenere in considerazione anche gli esemplari trovati morti (circa una 20ina), sia a seguito di incidenti o investimenti (la maggior parte dei casi), sia perché vittime di atti di bracconaggio.
Temi importanti, a maggior ragione se vogliamo pensare una gestione del territorio che non rientri nelle maglie dell’ordine pubblico e dell’emergenza, ma di una più lungimitante e integrata visione ambientale basata sulla conservazione e sulla coesistenza, sulla tutela e sull’ascolto delle varie istanze, e non per utilizzarne solo alcune a scopi elettorali, ma per raccoglierle tutte nell’intenzione di dare voce ai vari portatori di interesse e ripensare il territorio nella sua complessità, a partire da una corretta, prioritaria e scientifica diffusione delle informazioni.