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#inviaggio | Selvatici e salvifici, una mostra dedicata a Rigoni Stern
Montagna e scuola
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Foto: A. Molinari ®
La prima impressione non è delle migliori. Ma ormai lo so. Mi fido del mio istinto ma ho imparato che vale sempre la pena sospendere il giudizio, lasciare sedimentare le cose, darsi il tempo di ripensarle dopo un po’, per confermarle o a volte, anche, per smentirle.
La mostra Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern proposta a Palazzo delle Albere a Trento è uno di questi casi. Il titolo va dritto al cuore, ammicca a chi ama i libri dello scrittore di Asiago, a chi negli animali trova proprio quell’assonanza di salvezza e selvatichezza. L’opera che la introduce, nel giardino esterno, non fa che alimentare le aspettative: il cervo rosso trafitto dalla scritta human è di forte impatto emotivo. Quindi, cosa c’è che non va?
C’è che per chi è abituato alle mostre di Palazzo delle Albere, magari avendo recentemente visto l’allestimento di Terre Alte dedicato a Steve McCurry, questo tributo a Rigoni Stern appare un po’ ridotto: un solo piano dedicato, poche opere in esposizione e concettualmente un po’ sparpagliate. Inizialmente fatico un po’ a capirne il filo, a goderne la bellezza.
Indubbiamente lo sforzo a cura di Fiorenzo Degasperi e Giuseppe Mendicino, inaugurato lo scorso 22 ottobre e visitabile fino al prossimo 27 febbraio 2022, è percepibile: al di là della ricorrenza del centenario dalla nascita dello scrittore, è evidente la volontà di omaggiare un bestiario alpino scaturito sì dalla penna di Rigoni Stern, ma anche celebrato nei lavori di 15 artisti tra fotografi, scultori e pittori che si muovono in ambito ambientale.
Dalle volpi ai tassi, dalle linci alle aquile, dagli orsi alle pernici, dal lupo allo scoiattolo, passeggiare per la mostra è immergersi nel bosco, nei segreti dei suoi abitanti, nella curiosità di chi li osserva a distanze graduate, nei variegati dibattiti che ruotano intorno alla convivenza tra uomo e animale. O tra animale e uomo.
Da questo piano di Palazzo delle Albere ci si affaccia su un parco meraviglioso e biodiverso come quello del Muse – Museo delle Scienze, ma ci si affaccia anche oltre: sull’essenzialità della natura e dell’arte; sulle parole che rievocano la curiosità di certi attimi selvatici appunto, e lo fanno in quello stile sobrio e limpido che caratterizza lo scrittore dell’Altipiano; ma ci si sporge anche sull’uomo, sul suo passato ruvido e faticoso, che lo ha visto attraversare a piedi la guerra, l’Europa, le montagne. Tra le luci calde, gli affreschi antichi e circa una settantina di opere contemporanee – molte delle quali inedite – la mostra offre una passeggiata spiazzante, che ti coglie di sorpresa proprio come una passeggiata nella foresta. Non puoi scegliere chi incontrare e quasi mai scegli l’ordine di questi incontri, per lo più fortuiti. Vai nel bosco con certe aspettative, e trovi quello che i filosofi chiamerebbero serendipity, quello che non cercavi.
Nei suoi più celebri romanzi, Mario Rigoni Stern ha raccontato storie realistiche e commoventi sugli animali selvatici, sulla caccia e sul mondo dei cacciatori come parte integrante di una storia della montagna alpina. Lo ha fatto all’insegna di un’etica civile incrollabile, di una chiara responsabilità, senza retorica. Ha raccontato un mondo denso di fatiche, silenzi e conoscenze che puntellano gli equilibri della montagna e delle relazioni che la intarsiano, tra fili di delicatezza nella salvaguardia e fili di necessario ma oculato sfruttamento ai fini del sostentamento.
Mentre esco nel buio frizzante di un tardo pomeriggio d’autunno, la sensazione che mi resta addosso è quella di una dolce malinconia. Sembra disordinata questa esposizione, ma se ti lasci catturare ti rendi conto che un filo da seguire lo trovi, che è quello di cui ognuno fa matassa nel caos della vita e dei sentimenti. Trasuda questa mostra un tributo d’affetto e di stima per un uomo dalla vita intricata e dalle parole nette, che intreccia riflessioni profonde da digerire con l’aiuto del tempo, dal coraggio di negare il proprio supporto a valori che non si condividono a quello di esplorare la natura senza cieca venerazione, ma con immenso senso del limite e profondo rispetto. Sapendo di farne parte in qualsiasi momento, sia che te lo ricordi una femmina di capriolo rinchiusa nel lager di segregazione, a condividere incertezze e prigionia, sia che lo faccia un cervo di oltre 4 metri, che si staglia consolatorio nel cielo scuro della sera.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.