India: la criminalizzazione della solidarietà

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Dal 2014, cioè da quando è salito al potere, il Governo indiano guidato dal premier Narendra Modi ha già cancellato la licenza a 15.000 organizzazioni di volontariato e ong estere attive in India con programmi di cooperazione internazionale e aiuto allo sviluppo in favore di poveri, emarginati, bambini di strada e malati. Per John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council, fino ad oggi: “Tutti i governi indiani, ma in particolare quello attuale guidato dal partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp) di Modi, sono sempre stati ostili alle organizzazioni internazionali e al lavoro dei media che indagano sulla situazione reale, come l’estrema povertà, i suicidi tra i contadini, gli stupri, le violazioni dei diritti umani e delle libertà civili, ma soprattutto della libertà religiosa”. Le associazioni lamentano continue restrizioni nei confronti dei loro programmi attivi nel Paese e il continuo boicottaggio delle autorità con sequestri degli uffici, congelamento dei conti bancari e restrizioni ai viaggi degli addetti. Gli esperti ritengono che il Governo Modi non consideri più i gruppi di attivisti come una risorsa per lo sviluppo del Paese, ma piuttosto come una minaccia che mette in luce l’abuso di potere, la corruzione e le violazioni dei diritti umani in India

Per Dayal “L’India non concede il visto agli inviati speciali delle Nazioni Unite che indagano sulla situazione dei diritti, ed è molto ostile verso alcuni di essi, in particolare, quando i governi occidentali sollevano questioni religiose sul trattamento delle minoranze cristiane, musulmane e dalit”. Ma anche le questioni legate alla tutela ambientale sembrano un tabù. La stessa Greenpeace India, che di continuo lancia allarmi sul degrado ambientale e l'inquinamento atmosferico di molte città indiane, nel 2019 è stata costretta a chiudere alcune sedi regionali e a ridurre il personale a Bangalore, dopo che l’ufficio è stato sottoposto a perquisizione e i suoi conti sono stati bloccati. Così, ponendo sotto controllo gli aiuti allo sviluppo, viene messa a rischio la vita di milioni di beneficiari che spesso ricevono servizi fondamentali alla sopravvivenza e se all’inizio era solo un sospetto nei confronti di alcune organizzazioni straniere, ora la situazione sembra aver assunto le dimensioni di una vera paranoia sovranista. Il risultato del giro di vite verso le ong straniere, ha evidenziato il leader cattolico, è che “si indebolisce la voce degli attivisti". Ad ogni modo, è certo che prima o poi, “la verità verrà a galla e la comunità che difende i diritti umani troverà strade alternative per farsi sentire”. 

Una delle modalità più comuni per limitare il lavoro delle ong straniere in India è accusarle di evadere i controlli fiscali sui finanziamenti provenienti dall’estero. È quanto è successo all’ong americana Compassion International, costretta a chiudere nel 2017 perché con i suoi 45 milioni di dollari trasferiti ogni anno ai centri indiani, essa era la più grande donatrice dell'India, capace in 48 anni di attività di assistere 280mila bambini e minoriPer regolamentare la materia il Parlamento indiano, oltre al al Foreign Contribution Regulation Act del 2011, ha varato il 21 settembre scorso un emendamento alla legge sui contributi provenienti dall’estero che mette sotto controllo elettronico ogni transazione economica. D’ora in poi, ogni ong che cerca finanziamenti dall’estero dovrà possedere una “Aadhaar card”, una carta elettronica con dati personali e bancari. La decisione per il Bjp al potere è stata motivata sia da ragioni di “pubblica sicurezza”, visto che fonti governative confermano che nel nordest dell’India siano cresciute le insurrezioni proprio in corrispondenza con le donazioni di denaro dall’estero, sia da motivi religiosi alla luce delle molte “conversioni forzate” avvenute negli ultimi anni parallelamente alle attività solidali di numerose associazioni, soprattutto cattoliche. 

Durante il dibattito parlamentare, per evidenziare le preoccupazioni per le conversioni forzate e il ruolo avuto dai missionari cristiani è stato perfino citato il caso del missionario anglicano Graham Staines, ucciso insieme ai suoi due figli in un incendio provocato da radicali indù il 22 gennaio 1999. “Vi sono state molte critiche a proposito di Graham Staines. Ciò che è successo a lui e ai suoi due figli è sbagliato. Ma L’Ufficio centrale di intelligence, l’Ufficio dei crimini dell’Odisha e la Commissione di giustizia Wadwa hanno mostrato che i tribali venivano convertiti” ha spiegato SP Singh, leader del Bjp. “Sappiamo cosa è successo nel nordest [in Orissa – ndr], come le cose sono cambiate negli ultimi anni e come una particolare religione è divenuta prominente” ha concluso. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) si è detto “inorridito” e “profondamente sconvolto” dalle parole di Singh. Per Sajan l’assassinio di Graham Staines, “ha ferito la coscienza del mondo intero e oggi un membro del Bjp in parlamento dice che questo è stato causato dalle conversioni… È inconcepibile che [Singh] usi questo orribile assassinio per giustificare l’emendamento alle leggi sul finanziamento estero”.

Nelle scorse settimane il presidente del Gcic ha ricordato che la Commissione D.P. Wadhwa, incaricata dalla Corte suprema di investigare sull’assassinio Staines, ha pubblicato il suo lavoro nel giugno 1999 ed “ha certificato come fra il 1991 e il 1998 non vi erano stati particolari incrementi nella popolazione cristiana nel distretto di Keonjhar”. Il numero dei cristiani era aumentato solo di 595 unità in sette anni ed è ragionevole pensare che esso sia stato causato soltanto dalla crescita naturale della popolazione, piuttosto che dalle conversioni. “La Corte suprema - ha concluso Sajan - ha sentenziato che il massacro della famiglia Staines è stato un allarme per la tenuta democratica della società indiana […]. Oggi difendere gli emendamenti di questa nuova legge citando l’orribile assassinio di Staines e dei suoi figli, dimostra quanto il livello del dibattito politico indiano abbia ancora un tasso molto basso di umanità e credibilità”.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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