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Si salvi chi può o chi piace?
Conservazione
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Foto: Unsplash.com
“La popolarità dei panda giganti, come la popolarità di altri amati animali minacciati in tutto il mondo, ha prodotto enormi progressi nella protezione delle foreste e nella conservazione di altri habitat fragili. Ma non si può presumere che ciò che è buono per un panda sia automaticamente buono per altre specie. Specie diverse hanno esigenze e preferenze specifiche”. A ricordarcelo è stato Jianguo “Jack” Liu del Center for systems integration and sustainability del Department of fisheries and wildlife della Michigan State University nel nuovo studio “The hidden risk of using umbrella species as conservation surrogates: A spatio-temporal approach”, recentemente pubblicato su Biological Conservation da un team di ricercatori cinesi e statunitensi del quale Liu fa parte. Questi scienziati sino-statunitensi hanno guardato più da vicino come si comportano gli altri animali che vivono sotto l’ombrello della protezione del panda in Cina e hanno confermato che “mentre alcune specie traggono davvero beneficio dalle politiche incentrate sulla protezione dei panda, non è sempre così scontato che la protezione di animali carini e famosi come il panda avvantaggi automaticamente anche tutti gli altri animali che vivono nei loro areali”.
Per capire meglio come gli animali vivano negli habitat protetti, gli autori di questo studio hanno utilizzato i dati raccolti con delle foto-trappole posizionate sulle catene montuose cinesi delle riserve dei panda giganti e hanno scoperto che mentre la situazione dei panda migliora, visto che la specie dal 2016 è “minacciata” e non più “in pericolo” di estinzione, “3 delle 8 specie su cui ci si è concentrati in questo studio, l’orso nero asiatico, il cervo muschiato della foresta e il serow cinese, sembrano invece aver subito una significativa perdita e/o degrado di habitat all’interno di una gestione incentrata sui panda”. I panda sono esigenti riguardo al luogo in cui vivono: hanno bisogno di molto bambù, di un territorio in leggera pendenza e di nessun contatto con gli esseri umani. Tutte caratteristiche che sono state loro ampiamente fornite con habitat gestiti e controllati. Ma questi habitat non sono esattamente quello di cui hanno bisogno gli altri animali che convivono e competono coi panda. Secondo il coordinatore di questo studio Fang Wang dell’Institute of Biodiversity Science della School of Life Science dell’Università Fudan di Shanghai, “La Cina ha ottenuto un risultato straordinario nella creazione di riserve naturali dei panda giganti. Ora stiamo imparando che la stessa tecnica di conservazione non va bene per tutti. La Cina e altri Paesi che affrontano sfide simili hanno adesso l’opportunità di passare dal salvataggio di singole specie alla scelta di preservare al meglio tutte le comunità animali e i loro ecosistemi”.
Un suggerimento che non ha neanche lontanamente sfiorato la politica “ecologica” di The Donald. L'ormai ex Presidente USA, nel bel mezzo della prima estinzione di massa provocata dall’uomo con oltre 1 milione di specie a rischio e il giorno prima di provocare con un comizio gli scontri di Capitol Hill a Washington, ha avuto il tempo di cancellare il Migratory Bird Treaty Act (MBTA) proprio in occasione del National Bird Day a stelle e strisce il 5 gennaio. Sfidando l’opposizione dell’opinione pubblica, degli scienziati, dei governi tribali, dei trattati internazionali e di un giudice federale, Donald Trump ha annunciato di aver approvato un regolamento che garantisce alle imprese e ai singoli cittadini l’impunità per l’uccisione degli uccelli migratori. Come? Basta dimostrare che non c’era intenzione di uccidere. Per decenni l’US Fish and Wildlife Service (FWS), sia sotto i presidenti repubblicani che democratici, ha inteso il regolamento come proibizione del “prelievo accidentale”. In genere, l’FWS imponeva sanzioni solo in casi eclatanti di prelievo, come quando ha multato la BP per 100 milioni di dollari per la morte di circa un milione di uccelli causata dalla marea nera nel Golfo del Messico del 2010. Ma la minaccia di un procedimento giudiziario aveva portato le imprese ad adottare soluzioni per prevenire la morte degli uccelli, come la copertura dei pozzi petroliferi o la costruzione di linee elettriche abbastanza distanti tra loro per evitare che gli uccelli migratori rimanessero folgorati. Nel 2017 Daniel Jorjani, il massimo avvocato del Dipartimento degli Interni, ha emesso un parere legale che affermava che l’MBTA proibisce solo l’uccisione intenzionale delle quasi 1.100 specie di uccelli che tutela, non la morte accidentale. In seguito a questa interpretazione le associazioni ambientaliste e diversi Stati Usa hanno citato in giudizio il dipartimento e nel 2020 sono riusciti a ribaltare la sentenza, sostenendo che questa interpretazione violava chiaramente lo scopo dell’MBTA. L’amministrazione Trump, con un ultimo regolamento formale, ha voluto nuovamente legittimare il parere di Jorjani .
Per Kirin Kennedy, vicedirettrice del Sierra Club una mossa sbagliata. "Due terzi degli uccelli del Nord America sono minacciati dal cambiamento climatico, dal 1970 sono scomparsi più di tre miliardi di uccelli. Abbiamo bisogno di più protezioni, non di meno. Il Migratory Bird Treaty Act è stato monumentale nel ridurre gli impatti sugli uccelli causati dalle attività industriali dannose nei loro habitat. Questa rottamazione apre la strada alle industrie distruttive per potersi togliere dai guai quando le loro azioni provocano la morte degli uccelli migratori. I risultati saranno tragici per gli uccelli in pericolo e per tutti coloro che ogni anno danno il benvenuto alla visione e ai canti di questi straordinari migranti”. Jamie Rappaport Clark, presidente e CEO di Defenders of Wildlife, ha fatto notare che “Un tribunale federale ha già stabilito che l’amministrazione Trump non può eliminare le protezioni per gli uccelli migratori. Il nuovo regolamento, è illegale e non sarà valido”. A poco più di un mese dal provvedimento già diverse tribù indigene si sono espresse contro il regolamento e nelle loro osservazioni i rappresentanti della tribù indiana Snoqualmie hanno scritto che “Molte specie di uccelli migratori hanno un profondo significato culturale e sacro per la tribù. E’ incomprensibile che l’industria responsabile dell’uccisione degli uccelli possa essere in grado di evitare qualsiasi responsabilità penale solo perché non avrebbe l’intenzione di uccidere gli uccelli migratori”. Per ora il neo presidente Joe Biden, che ha già firmato 15 ordini esecutivi tra i quali il rientro degli Stati Uniti nell'accordo sul clima di Parigi, non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sull’MBTA, ma da questa decisone dipende un primo ed importante giudizio sull’attenzione che questa nuova amministrazione avrà nei confronti dell’ambiente e degli animali.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.