Le città “circolari”

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Foto: Unsplash.com

Viviamo in un pianeta sempre più urbanizzato. Più del 50 % della popolazione mondiale vive in aree urbane (entro il 2050 sarà quasi il 70%), è responsabile del consumo del 75% delle risorse naturali mondiali, produce il 50% dei rifiuti e contribuisce alle emissioni di gas climalteranti in percentuali comprese tra il 60% e l’80%, per questo attorno alla sostenibilità del "sistema città" si gioca una partita fondamentale per il futuro del Pianeta. Il report “Misurare gli obiettivi di economia circolare nei centri urbani” con la classifica dei centri urbani più virtuosi sul piano dell’economia circolare urbana, ovvero quell’economia basata sul riutilizzo delle risorse e sulla riduzione degli sprechi, ha provato nelle scorse settimane a capire quali città italiane stanno dando il contributo più virtuoso in questa decisiva sfida ecologica. Elaborato dal Centro studi in Economia e regolazione dei servizi, dell’industria e del settore pubblico (Cesisp) dell’Università di Milano-Bicocca, il report ha analizzato le politiche ecologiche di Aosta, Bari, Bergamo, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Roma, Torino, Trento, Venezia e Verona eleggendo quest’anno Milano “la città più circolare d’Italia” con un punteggio di 7,7 su 10, seguita da Trento con il 7,5 e  Bologna con il 7,2. Se le prime 10 città classificate si collocano geograficamente al Nord o Centro-Nord, con le sole le eccezioni di Genova, Verona e Aosta che hanno totalizzato tutte un punteggio al di sotto della sufficienza, le ultime posizioni purtroppo sono coperte per lo più da centri urbani del Sud Italia, con Catania e Palermo fanalini di coda.

I ricercatori, che per la prima volta hanno cercato parametri capaci di reggere un confronto a livello europeo, hanno individuato cinque cluster rappresentativi suddivisi a loro volta in 28 indicatori di circolarità, tra cui i dati sulla raccolta differenziata dei rifiuti e sull’utilizzo dei trasporti pubblici o dei servizi di sharing mobility, il livello di concentrazione di PM10 e la diffusione di eco-brevetti e di imprese ascrivibili alla categoria dei green jobs. Per ogni indicatore è stata stilata una graduatoria parziale delle città, con punteggi da 0 a 10 e la media ponderata dei punteggi parziali ha determinato un indice di circolarità urbana, in base al quale è stata stilata la classifica finale. Per Massimo Beccarello Giacomo Di Foggia, rispettivamente direttore scientifico e ricercatore del Cesisp, “Milano si conferma al primo posto anche grazie a sistemi di trasporto pubblico ramificati e apprezzati, servizi avanzati di car sharing, rete idrica efficiente, elevato livello di raccolta differenziata e alto fatturato delle attività di vendita dell’usato”.  Se Milano si conferma in cima al podio, Firenze e Torino, seconda e terza nel 2019, scendono e ora sono rispettivamente al quinto e settimo posto, superate da Bologna, Trento e Bergamo, quarta, mentre Brescia, è sesta. Ma a stupire i ricercatori è stata soprattutto la differenza regionale riscontrata tra Nord e Centro - Sud Italia, tanto che oggi le differenze territoriali sembrano rappresentare un vero e proprio ostacolo per la crescita dell’economia circolare in Italia. Oltre alle città del Sud Italia anche quelle del Centro arrancano, le prime sono Roma e Perugia che si classificano solamente al 12esimo e 13esimo posto, con un risultato ben al di sotto della sufficienza.

Utilizzando gli stessi criteri di analisi usati per il contesto italiano, il Cesisp ha messo a confronto la città leader della circolarità in Italia, Milano, con altre grandi metropoli europee: Amsterdam, Berlino, Bruxelles, Copenaghen, Londra, Madrid, Parigi e Praga. Il risultato è stato molto incoraggiante. Se la città più circolare d’Europa è Copenaghen con un punteggio medio di 3,26 su 5 e al secondo posto troviamo Parigi con 3,21 seguita da Berlino con il 3,18, Milano si classifica quarta con un punteggio medio di 3,13, davanti a Londra e Madrid rispettivamente sesta e settima. Per i ricercatori “L’intento della classifica delle città circolari è di proporre l’indice di circolarità urbana come strumento di utile valutazione per le politiche ambientali dei centri urbani e per l’impatto di nuove normative e regolamenti". La Commissione Europea, presentando l’ambizioso progetto Green New Deal lo scorso gennaio, ha collocato l’economia circolare al centro delle nuove politiche europee necessarie per raggiungere gli obiettivi che l’Europa ha sottoscritto a Parigi nel 2015. La sostenibilità, insomma, dovrebbe essere un tema al centro anche del Recovery Fund e per questo secondo i ricercatori del Cesisp “è necessario partire da una mappatura e da una misurazione dell’efficacia delle politiche verdi delle aree urbane, che sono oggi il motore dello sviluppo economico e sociale”. 

I grandi centri urbani, infatti, rappresentano un volano decisivo per promuovere i comportamenti e le misure da adottare per raggiungere degli importanti obiettivi ambientali. Se la politica è chiamata a promuovere un sistema di progettazione, produzione, consumo e smaltimento di beni e servizi nel quale l’uso efficiente delle risorse è il pilastro portante dello sviluppo sostenibile, la transizione verso un’economia circolare richiede che anche i cittadini si impegnino attivamente nel cambiamento dei propri stili di vitaPer questo è fondamentale sia creare le condizioni per efficienti sistemi di gestione dei rifiuti, che supportare un sistema di incentivi per stimolarne il comportamento virtuoso sulla base di un modello volto a promuovere la sostenibilità ambientale e a migliorare il modello di cooperazione sociale tra tutti gli attori sociali. Fondamentale in questo contesto sarà anche il rapporto tra gli spazi urbani e la sicurezza alimentare delle città. Per la Fao e il suo nuovo Green Cities Initiative and Action Plan presentato in settembre, “La crescita demografica e la rapida urbanizzazione determinano cambiamenti delle abitudini alimentari e una crescente competizione per le risorse naturali utili a garantire un’alimentazione sana”. Per questo, anche alla luce delle criticità alimentari emerse con l’emergenza Covid-19 in molte città, “Mantenere sistemi alimentari sostenibili e avere più spazi verdi, comprese aree agricole e boschive urbane e periurbane, rappresenta un obiettivo fondamentale per le città, poiché ne accresce la resilienza ai cambiamenti climatici e alla pandemia di Covid-19, evitando che le emergenze sanitarie interrompano l’approvvigionamento e la distribuzione dei generi alimentari in queste zone”. 

Insomma, per avere città molto più verdi, più resilienti e rigenerative, dobbiamo ripensare al modo in cui le aree urbane e periurbane vengono progettate e gestite. Ci sono rimasti soltanto 10 anni per conseguire gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030, ma programmi come il Patto di Milano sulle politiche alimentari urbaneThe New Urban AgendaWorld Sustainable Urban Food Centre of ValenciaHand-in-Hand Initiative e altre iniziative strategiche fanno ben sperare per il futuro delle città, dei cittadini e del mondo. 

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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