Speed forest: cos’è?

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Qualche giorno fa mi è capitato di vedere questo video. Forse per le note pesanti che lo accompagnano, forse per la grafica di una chiarezza inappellabile di alcuni passaggi, forse perché, per una volta ancora, ci pone di fronte a un problema sottovalutato eppure di importanza capitale per la nostra esistenza presente e futura: per queste e per molte altre ragioni è il caso di dare spazio a una riflessione che parta dal suolo che ogni giorno calpestiamo, utilizziamo, ignoriamo ma dal quale dipendiamo e del quale siamo responsabili.

Quella dello sfruttamento intensivo della terra sulla quale appoggiamo i nostri piedi, le nostre case, le nostre industrie e le nostre vite è una questione strettamente collegata al problema del disboscamento terrestre e ai fattori che ne sono causa o effetto, dalla conversione di boschi e terreni in colture intensive alla deforestazione. Interventi umani che provocano irreparabili e irreversibili cambiamenti climatici e sociali, che si ripercuotono in maniera diretta sull’ambiente e sulla quotidianità di ognuno di noi, animali compresi.

Non sono quindi allarmismi inutili gli inviti sempre più frequenti e pressanti che provengono da più fonti a preservare il valore del suolo e delle foreste, non solo in termini di salvaguardia del pianeta, ma anche nell’ottica di rispettare lo sforzo secolare attuato dalla Natura per generare spazi prosperi e rigogliosi.

A questo proposito è interessante soffermarsi su iniziative come quella di Shubhendu Sharma, giovane eco imprenditore indiano fondatore di Afforestt, impresa nata nel 2011 come “fornitrice di servizi”. Quali? Ricreare foreste madri, naturali e selvagge, senza bisogno di manutenzione e garantendo le migliori soluzioni al miglior prezzo, nella convinzione che la Terra non sia stata ancora irrimediabilmente danneggiata. Alla base dell’azienda l’idea che l’agire collettivo possa riportare indietro gli scempi fino ad ora posti in atto dalla mano dell’uomo. Per dirla con quegli hashtag tanto di moda che suonano familiari… #bringbackournativeforests.

L’aspetto da evidenziare di questa operazione è soprattutto uno: la scoperta che è possibile dar vita all’ecosistema di una “mini-foresta” in qualsiasi luogo del mondo, impiegando metodi naturali a fronte di un investimento temporale (e monetario) relativamente ridotto: in pochi anni e al costo di un Iphone è possibile ricostituire una foresta con 50-100 varietà diverse, in grado da un lato di riproporre la biodiversità andata perduta e dall’altro di ridurre la desertificazione e i livelli di CO2 presenti nell’aria.

In un TED talk che potete rivedere a questo link, Shubhendu riassume la nascita e le finalità della sua idea: “Sono un ingegnere industriale”, esordisce “e ho sempre cercato di ottenere il massimo numero di prodotti con il minimo dispendio di tempo e risorse”. E continua raccontando il suo percorso, dall’incontro con Akyra Miyawaky all’esperimento nel proprio giardino di casa, alla messa a punto di un metodo che in 3 anni garantisce una crescita 10 volte più rapida rispetto a una foresta “normale”, con un risultato 30 volte maggiore in termini di densità e 100 volte in termini di biodiversità. E completamente biologico. Prendendo ad esempio la metodologia Toyota (azienda dove Shubhendo lavorava precedentemente, nota per la qualità e l’efficienza della propria catena di produzione), lo scopo è stato quello di “standardizzare” la metodologia per la realizzazione di nuove foreste, prevedendo la creazione di un ecosistema a più strati in spazi piccoli quanto quelli di sei parcheggi e utilizzando fertilizzanti locali come le noci di cocco triturate. La creazione di nuove foreste, se inizialmente ha interessato piccole realtà locali quali scuole, spazi pubblici e imprese che volevano potersi definire carbon neutral (riguadagnando cioè crediti di carbonio a fronte dell’inquinamento causato), è diventata ora una piattaforma online che, utilizzando il sistema delle open sources, permette a chiunque di ricreare la propria foresta con le specie originarie del luogo in cui vive.

Senza dubbio un’idea affascinante, che accende un lume di speranza all’orizzonte e che, va detto, merita la nostra attenzione sia per le buone intenzioni che per le pratiche attuate. Ciò non toglie che, come più volte sottolineato anche in altre occasioni, questo tipo di iniziative riguardano “il dopo”, il riparo di un danno ormai provocato, il rammendo di uno strappo già compiuto. Non che un approccio di questo tipo sia condannabile, anzi, ma sarebbe altrettanto opportuno pensare a sistemi di prevenzione e di utilizzo più consapevole e rispettoso del suolo e del territorio, che non forniscano a persone senza scrupoli la possibilità di distruggere un ecosistema millenario nascondendosi dietro alla facile giustificazione che, tanto, sarà una speed forest ricostituibile in soli 3 anni a recuperare il patrimonio perduto.

Anna Molinari

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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