Fattorie negli oceani: soluzioni futuribili?

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Che la geoingegneria sia una buona idea? È difficile dirlo, e la sensazione che sia una delle questioni spinose che dovremmo affrontare in futuro si ritaglia uno spazio all’orizzonte, anche se c’è chi sostiene che, almeno per alcuni aspetti, la geoingegneria sia pressoché inevitabile: certo è che, pur trattandosi di una scienza ancora in larga parte in da esplorare, qualsiasi conseguenza sarà comunque irrevocabile.

Per adesso facciamo un tentativo: seguire l’ipotesi avanzata da un gruppo di architetti che hanno immaginato “cosa succederebbe se…”. Si tratta dei designers della Sitbon Architectes, ideatori di Bloom, una fattoria… che galleggia sull’acqua. Parliamo di una struttura per ora ancora astratta, ideata studiando il comportamento del fitoplancton, con lo scopo di nutrire i microscopici organismi che popolano gli oceani e la cui esistenza è vitale per l’ecosistema, la produzione di ossigeno, e simultaneamente per la rimozione dell’eccesso di anidride carbonica dal mare. Vediamo come funziona: la fattoria ha la forma di una sfera semi sommersa, ancorata al fondale marino attraverso un sistema di cavi, e si prefigge di fornire una serie di avamposti per l’osservazione permanente, punti strategici pensati perché scienziati che studiano il livello di innalzamento delle acque possano perfino abitarvi (anche se, a dire il vero, il rendering degli interni sembra quello di un hotel un po’ pacchiano più che di una stazione scientifica).

Da questo punto di vista la struttura di Bloom potrebbe rappresentare la prima linea del monitoraggio in difesa dei cambiamenti climatici, o essere antenna privilegiata per allertare contro imminenti disastri naturali, come ad esempio gli tsunami. Ma queste “fattorie di fitoplancton” possono anche asservire allo scopo di mitigare il crescente numero delle cosiddette “zone morte”, dove i fertilizzanti azotati hanno privato le acque di ossigeno. I designers immaginano Bloom come un “catalizzatore”, con una zona per conservare biocarburanti che alimentano l’intera fattoria, che agisce come una sorta di “sacca-matricein grado di “resettare” la quantità di ossigeno nell’ambiente ogni volta che se ne verifichi la necessità, convertendo inoltre l’acqua salata in una riserva di acqua dolce. Fantascienza? Soluzione facile che mira soltanto a tamponare un consumo irrequieto, irresponsabile e inarrestabile di preziose risorse naturali?

La prospettiva rimane in ogni caso intrigante, e vale la pena monitorarne gli sviluppi: sintetizza in qualche modo idee strategiche per rimediare ai danni creati all’ecosistema, e sicuramente rappresenta un’ipotesi più articolata rispetto a quella di rovesciare tonnellate di ferro sui fondali oceanici per stimolare la fioritura di fitoplancton. Certo è che, da qualsiasi angolatura la si veda, un’alternativa di questo genere, pur se innovativa, non porta lontano se non viene supportata da adeguate e corrispondenti scelte politiche che vadano al nocciolo del problema: la combustione di carburanti fossili e il cambiamento climatico.

Un punto infatti rimane al cardine di ogni futuro ragionamento: l’acqua ridefinirà il nostro futuro. Si calcola che nel 2050 il suo livello sarà di 16 cm più alto rispetto ad oggi. Il progetto Bloom può rappresentare anche una soluzione all’innalzamento del livello delle acque? Lo scopo di questa struttura, come si legge sul sito, sarebbe prima di tutto quello di proporsi come risposta sostenibile per diminuire la nostra impronta di carbonio e favorire una vita in sintonia con i nostri mari: si immagina che ogni azienda abbia un giorno la sua Bloom per assorbire l’anidride carbonica prodotta come scarto dei suoi processi produttivi, in un’ottica di responsabilità individuale, anzi aziendale… Rimane in ogni caso la curiosità di scoprire la ragione che spinge l’uomo a pensare e perseguire la realizzazione di soluzioni (anche creative e a basso impatto ecologico) aventi come obiettivo per lo più il rimedio, piuttosto che investire con anticipo su un impegno concreto volto alla prevenzione delle tragedie di cui è motore.

Anna Molinari

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