Biotraditi

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Cara Italia, 

Che ti fai tentare da conclusioni facili, che troppo spesso ti fai portavoce dell’arte di arrangiarsi (possibilmente a spese degli altri), che ti lasci trascinare con grandi doti a fare di tutta l’erba un fascio e che accetti di ridurre le complessità al dogma della televisione… Scriviamo a te per esprimere la nostra frustrazione per una polemica che ci coinvolge da vicino: hai capito, sì, parliamo di biologico, e lo facciamo noi che del “bio” abbiamo fatto una scelta di vita prima che una fonte di guadagno, perché produciamo con dedizione, onestà e fatica prodotti che corrispondano ai criteri severi e rigidi ai quali siamo sottoposti, perché nonostante la burocrazia che ci ostacola ci impegniamo ogni giorno a garantire standard di qualità che dovrebbero appartenere a chiunque. Ti scriviamo anche a nome di chi in noi ha scelto di credere, pagando per i nostri prodotti il giusto prezzo della qualità, con la consapevolezza di quanto siano i ritmi della natura a dettare le regole più vere.

Tu però, cara Italia, hai recentemente acceso i riflettori sulle incongruenze connesse alla produzione di riso biologico, pagato il triplo rispetto a quello non biologico ma, a quanto pare, prodotto in quantità tali da indurre a sospettare un ingente utilizzo di diserbanti, anche se proibiti. Hai puntato la lente sull’industria cosmetica, con le sue abbaglianti etichette greenwashed impaginate su un vocabolario per allocchi pensato per indurre i consumatori all’acquisto di prodotti che, anche con una rapida scorsa all’INCI, sono ben lontani dalle caratteristiche “naturali” che vantano di avere.

Allora, prima di tutto, vogliamo ringraziarti. Per averci permesso di cogliere questa opportunità di sottolineare che anche noi, che in questi giorni ci sentiamo un po’ biotraditi, siamo contenti se chi non rispetta le regole viene individuato e perseguito.

Desideriamo però anche mettere qualche punto dove serve, perché la complessità del biologico non può essere né riassunta né screditata da questi pochi episodi. Perché lo sappiamo bene che i cattivi esempi sono troppo spesso quelli che più restano nella memoria e sappiamo che a troppi tra i lettori e gli spettatori di queste inchieste rimarrà in mente la domanda: vale davvero la pena produrre e consumare biologico?

Secondo noi sì, vale eccome. In primis perché i “biofurbi” non sono la normalità, ma una brutta eccezione che occorre smascherare prima che le conseguenze di speculazioni senza scrupoli si riversino anche sulle nostre aziende. In secundis, per affermare il senso profondo della difesa delle produzioni biologiche, oggi più che mai, sia per i vantaggi che offrono in termini di rispetto e utilizzo del territorio, sia per l’attenzione che viene così tributata all’alimentazione e alla salute di chi, compresi noi, consuma i nostri raccolti.

Non dimentichiamo poi la severa legislazione a cui siamo tenuti a fare riferimento e i controlli a cui, pur con difficoltà e miglioramenti da apportare, veniamo chiamati dagli organi di certificazione. La sensazione paradossale, dal nostro punto di vista, è che l’agricoltura industriale sia invece lasciata in qualche modo molto più “libera di inquinare” i nostri territori, le nostre acque, i nostri alimenti.

Ci teniamo quindi a sottolineare che, se la nostra responsabilità è quella di garantire un prodotto che rispetta i canoni di qualità prestabiliti, quella dei consumatori è di saper riconoscere i prodotti che acquistano e diffidare delle diciture generiche.

Mentre in India il Governo sta promuovendo la nascita di 5 villaggi bio, ti chiediamo, cara Italia, di continuare a guardarti attorno e scovare incongruenze, aiutandoci a smascherare le truffe. Ma ti invitiamo anche a non arenarti su questo gioco di detrazioni che ostacolano una produzione più sostenibile e a schierarti invece in prima linea perché, così come per i prodotti alimentari, vengano adottati anche per il mondo della cosmesi regolamenti europei che disciplinino il settore e stabiliscano degli standard condivisi.

Desideriamo infine ricordarti che non è affatto necessario inondare i terreni di fertilizzanti di sintesi e pesticidi nell’ansia di produrre di più. Non ne abbiamo bisogno, sulla Terra produciamo cibo sufficiente per 12 miliardi di persone e siamo poco più della metà. Avremmo piuttosto bisogno di concentrarci sulla distribuzione e sulla ripartizione delle risorse.

Ma questo sarà il contenuto di un'altra lettera…

Anna Molinari

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