AAA… L’architettura per la montagna

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AAA. Questa volta non è stratagemma di visibilità in impaginazione alfabetica, ma è il nome di un’Associzione fondata nel 2016 che, a discapito di un sito non proprio user friendly, ha un obiettivo chiaro: creare sinergie tra i partecipanti e coordinare le iniziative legate alle tematiche culturali e professionali con rilevante caratterizzazione alpinaGià, perché l’Associazione Architetti Arco Alpino intende approcciare, con consapevolezza di territori e tematiche eterogenee, le affinità geografiche delle montagne alpine e le conseguenze in termini di problemi ed esigenze che esse determinano, invece, in maniera per lo più omogenea. Un’attività di studio, ricerca e analisi che propone una lettura non convenzionale del paesaggio e che propone approfondimenti in forma d’arte di questi temi.

Nel 2016/2017 fu un contest, la Rassegna di Architettura Arco Alpino, che vide la realizzazione di ben 246 progetti intenzionati a dare, attraverso l’architettura, una lettura e un’interpretazione dei paesaggi alpini. Adesso invece si tratta di tirare le fila di un progetto fotografico che ha promosso un ulteriore livello di lettura attraverso l’osservazione, in particolare, delle normali modalità di utilizzo e sfruttamento dei territori che, come sottolinea il presidente arch. Alberto Winterle, “testimoniano la relazione dialettica ed evolutiva tra l’uomo e l’ambiente in cui viveTra ovest della Francia ed est della Slovenia sono stati selezionati 274 scatti del collettivo Urban Reports, sui territori provinciali della Val Tanaro (CN), della Val Chisone (CMTO), della conca di Saint-Nicolas (AO), della Val Sermenza e della Val d’Otro (VC), della Val Divedro (NOVCO), della Valmalenco (SO), della Val di Rabbi (TN), della Val Martello (BZ) e ancora dai territori tra Cadore e Comelico (BL) e dalla Val Canale (UD). Luoghi coinvolti e indagati a fondo attraverso migliaia di chilometri di percorsi e sentieri, per lo più secondari. Perché? Un proposito: rintracciare i segni e i caratteri utili per raccontare la storia di un paesaggio culturale alpino fatto di architetture, linguaggi e usi. E recuperare, attraverso le forme dell’abitare, le risorse, le produzioni e i meccanismi di ieri e oggi, a volte moniti di abbandono e degrado, altre invece esempi significativi di riappropriazione contemporanea.

Quello alpino è un paesaggio che nel tempo ha stratificato storie, culture, modi di abitare, e lo ha fatto attraverso e sui propri centri abitati, nelle proprie infrastrutture e opere, nelle coltivazioni e negli allevamenti, negli scavi, segni – e talvolta ferite – che hanno definito in modo profondo il paesaggio, anche proprio per il passaggio dell’uomo che attraverso la sua mano e il suo movimento (per le più svariate ragioni, non escluse quelle turistiche) ha dato una forte e personale impronta al rapporto con la natura. 

È qui che il rapporto con la montagna si è trasformato nella sua essenza, passando dal considerarla bene comune all’identificarla come un prodotto dal valore economico? Lottizzazioni, sovraffollamento di seconde case, offerta turistica sproporzionata a volte rispetto alle capacità di ammortamento dei territori sembrerebbero dare risposta affermativa a questa domanda così profonda, che chiama in causa proprio le forme dell’abitare e quelle dello spopolamento, quelle dell’urbanizzazione e quelle dell’abbandono. Senza dimenticare la relazione con le risorse e la produzione, che amplificano i segni dello sfruttamento e plasmano il territorio rendendolo fertile e produttivo, ma anche modificandolo profondamente nell’aspetto e scavandolo nell’essenza, e lasciandolo spesso con le cicatrici di queste opere (si pensi a piloni, involucri, cave).

Questo come accade? Accade attraverso meccanismi di micro e macro impatto, che tessono il paesaggio di infrastrutture finalizzate alla realizzazione di una convivenza in equilibrio precario, spesso sbilanciata a favore dell’uomo che intreccia sul e nel paesaggio una rete di connessioni e relazioni, incontri e dialoghi che rivelano divergenze e convergenze di linee e bisogni, intenti e traguardi, confronti che restano sempre alle fondamenta della convivenza stessa con le molteplici dimensioni della montagna alpina, modellata ai fini dell’accessibilità e del rilancio produttivo e turistico e al contempo abitata in modo stanziale e collettivo dalla tenacia di chi la vive ogni giorno, in modo residenziale, perché non la abbandona, o perché la ripopola. 

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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