Il ritardo climatico istituzionalizzato in Italia

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Foto: Unsplash.com

Si tratta di un pattern che si ripete quello del ritardo climatico istituzionalizzato in Italia, come spiegato in questo articolo originariamente parte della newsletter A Fuoco.

di Stefano Cisternino*, esperto in comunicazione sulla circolarità per ICLEI Europe, e dirige l’Osservatorio italiano sulla misinformazione climatica. Scrive per Treccani, Duegradi e Icarus Complex Magazine, lavora come editor per YES-Europe, ed è facilitatore Climate Fresk e formatore ambientale per la Commissione europea.

In Italia sono poche le personalità pubbliche e autorevoli che negano il cambiamento climatico. A livello istituzionale, il governo lo riconosce, lo nomina e predispone piani per contrastarlo. Ma poi tutto resta fermo. O peggio, va all’indietro.

«Gli italiani non hanno scelto un governo composto da pericolosi negazionisti climatici», assicurava nel 2023 la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Parlamento, spiegando che l’approccio dell’esecutivo al clima è «pragmatico e non ideologico».

Un pattern che si ripete

In effetti, nessuno nei vertici di governo nega apertamente il cambiamento climatico. Eppure, osservando le politiche attuate tra il 2023 e il 2025, emerge un chiaro pattern sistemico di ritardo deliberato e strutturale nell’azione climatica, fatto di rinvii, contraddizioni e promesse futuribili che di fatto rallentano la transizione ecologica del Paese. Un modello di “ostruzionismo verde” che non nega il cambiamento climatico, ma lo svuota di senso attraverso tecnicismi, retoriche rassicuranti e soluzioni “non trasformative”, come gas “ponte”, compensazioni, offset e promesse future di tecnologie miracolose.

Nel luglio 2023, il governo – in carica da qualche mese – aveva presentato una revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) con tagli per 15,9 miliardi di euro, colpendo duramente i capitoli ambientali. Tra i progetti ridimensionati, spiccano quelli per il contrasto al dissesto idrogeologico, che ha visto i fondi dimezzati due mesi dopo le alluvioni in Emilia-Romagna, quando intere città della regione erano finite sott’acqua. Le strade sembravano fiumi, le scuole erano chiuse, gli agricoltori spalavano fango. Non era la prima volta e, con ogni probabilità, non sarà l’ultima.

Ma quando si è trattato di scegliere, le misure per prevenire nuovi disastri sono sparite dal bilancio. Sono stati inoltre cancellati 110 milioni destinati al rimboschimento urbano – un programma che prevedeva la piantumazione di 6,6 milioni di alberi – con la motivazione di una «impossibilità oggettiva» a realizzarlo. Anche i 675 milioni previsti per impianti rinnovabili innovativi, tra cui l’eolico offshore, sono stati eliminati. In totale, la revisione ha definanziato oltre 8 miliardi in misure legate alla transizione verde. L’allora ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il PNRR Raffaele Fitto aveva promesso che i progetti esclusi sarebbero stati coperti da altri strumenti nazionali ed europei, ma ad oggi non esiste una garanzia concreta...

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