(Re)Make America Great Again: con la plastica

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Mentre nel Mondo la politica, la società civile, le ong, le comunità e i semplici cittadini stanno provando di arginare il problema della produzione, del riciclo e dello smaltimento della plastica, gli Stati Uniti non sembrano in questo campo brillare come in altri. Ne avevamo parlato già due anni fa nel pezzo Make America Great Again: con la plastica? sottolineando come lo studio “The United States’ contribution of plastic waste to land and ocean”, pubblicato su  Science Advances da un team di ricercatori statunitensi rivelasse come per anni “L’esportazione di rifiuti di plastica all’estero ha nascosto il vero contributo degli Usa alla crisi dell’inquinamento da plastica” visto che gli USA sono “Una delle principali fonti di questi rifiuti”. L’attenta analisi smentiva i precedenti studi e la diffusa convinzione che gli Usa stiano “gestendo” in modo virtuoso il problema della plastica, raccogliendo, collocando in discarica, riciclando o semplicemente contenendo questo mare di rifiuti. Sulla base dei dati sulla produzione di rifiuti di plastica del 2016 per gli scienziati che hanno partecipato alla ricerca “Più della metà di tutta la plastica raccolta per il riciclaggio negli Stati Uniti è stata spedita all’estero. L’88% delle esportazioni è andato in Paesi che faticano a gestire, riciclare o smaltire efficacemente la plastica e una percentuale che oscilla tra il 15 e il 25% era di scarso valore o contaminato, il che significa che, in realtà, era non riciclabile”. 

Ma il problema non sembra essere solo l’esternalizzazione dei rifiuti plastici, ma anche il suo riciclaggio interno, visto che secondo il rapporto “The Real Truth About the US Plastics Recycling Rate”  pubblicato questo mese da due ong americane, The Last Beach Clean Up e Beyond Plasticsgli Stati Uniti non solo hanno un tasso di riciclaggio della plastica fermo al 5-6% e in costantemente calo, ma dal 1980 la produzione pro capite di rifiuti di plastica è aumentata del 263%. Secondo le due ong “Dal 1980 al 2018 negli Usa i rifiuti di plastica sono aumentati di 5 volte: nel 1980 sono state prodotte 7,4 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. 38 anni dopo erano salite a 35,7 milioni di tonnellate”. Le dichiarazioni di Judith Enck, presidente di Beyond Plastics ed ex amministratrice regionale dell’ agenzia governativa americana Environmental Protection Agency (EPA), sono state nette: “L‘industria della plastica deve smettere di mentire all’opinione pubblica sul riciclaggio della plastica. Non funziona, non funzionerà mai e nessuna pubblicità ingannevole cambierà questo. Invece, abbiamo bisogno che i brand delle companies di consumo e i governi adottino politiche che riducano la produzione, l’uso e lo smaltimento della plastica”. Il rapporto fa notare che “Gli alti tassi di riciclaggio di carta, cartone e metalli post-consumo dimostrano che il riciclaggio funziona per recuperare preziose risorse di materiali. È il riciclaggio della plastica che ha sempre fallito in quanto non ha mai raggiunto il 10% anche quando milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno venivano conteggiati come riciclati mentre venivano esportati in Cina”.

Di fatto le esportazioni di rifiuti di plastica statunitensi sono diminuite dalle 1,84 milioni di tonnellate del 2017 a 0,61 milioni di tonnellate nel 2021, solo perché paesi come la Cina hanno iniziato a smettere di accettare i rifiuti americani. Per Jan Dell, ingegnere e fondatrice di The Last Beach Cleanup, attualmente “Gli Stati Uniti non hanno la capacità di riciclare tutta la loro plastica. Non abbiamo fabbriche per farlo, fabbriche ad intensità idrica molto alta, quindi non costruiremo più strutture per il riciclaggio della plastica negli Usa” tanto che attualmente “Non esiste un’economia circolare della plastica. Le companies e i produttori di plastica hanno cooptato il successo del riciclaggio di altri materiali e il desiderio americano di riciclare per creare il mito che anche la plastica è riciclabile. La verità è che meno del 6% dei rifiuti di plastica viene riciclato e l’altro 94% viene smaltito nelle discariche, bruciato negli inceneritori o finisce per inquinare i nostri oceani, corsi d’acqua e territori dopo essere stato utilizzato solo una volta, spesso per pochi minuti. Lo stesso processo di riciclaggio della plastica è uno spreco, con il 30% del materiale plastico delle bottiglie in PET raccolto che viene scartato nel processo di riciclaggio”.

L’EPA che di solito pubblicata dati annuali aggiornati sui tassi di riciclaggio di rifiuti non pubblica aggiornamenti dal novembre del 2020. Per questo le due ong hanno estrapolato i dati sul riciclaggio delle Accademie nazionali di scienza, ingegneria e medicina, dalle ultime esportazioni statunitensi e dai report dell’industria dei rifiuti. Per Enck e Dell è fondamentale l’accesso ai dati di riciclaggio americani aggiornati, per questo chiediamo all’EPA “Di rilasciare pubblicamente queste cifre il ​​prima possibile. Gli amministratori pubblici e l’opinione pubblica hanno bisogno di questi dati per prendere decisioni informate sulla crisi dell’inquinamento da plastica che tutti stiamo affrontando”. Attualmente in USA per la Enck è in atto una decennale campagna di disinformazione: “Il simbolo del riciclaggio delle tre frecce è fuorviante, perché la maggior parte dei Comuni ricicla solo alcuni tipi di plastica. I consumatori sono comprensibilmente confusi. [...] Quando i cittadini mescolano plastica riciclabile con plastica non riciclabile, contaminano i carichi, che poi di solito vengono raggruppati per le discariche o l’incenerimento”. Che fare? “Abbiamo urgente bisogno di nuove leggi che riducano la quantità di imballaggi di plastica. Perché queste companies non ridurranno abbastanza da sole e ai consumatori rimangono poche scelte” ha concluso la presidente di Beyond Plastics.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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