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Promemoria Canada: la tutela delle foreste
Contaminazioni
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Qualche settimana fa ho avuto la fortuna di assistere al racconto fotografico di Michele Bottazzo di un viaggio tra Yukon (Canada) e Alaska. Panorami sterminati e incontaminati e un territorio di 490 mila kmq per 37 mila abitanti, dove il rapporto uomo orso è di 2 a 1, uomo alce 2 a 4, uomo renna 2 a 12. In pratica, circa 13 persone per chilometro quadrato. Il collegamento che mi ha fatto ripensare a questa serata è stato però un particolare sull’accesso ai parchi naturali, accesso limitato dai guardia parco a pochissime persone per volta, per lo più backpackers da soli o in piccoli gruppi, registrati in entrata e in uscita e obbligatoriamente formati sulla tutela della flora e della fauna locali.
Un’attenzione decisamente fuori moda alla preservazione di un ambiente paradisiaco, che non può che risultare controcorrente in un mondo dove ancora sono troppi gli interessi economici e turistici che pesano sulla gestione di parchi e riserve in tutto il mondo e che finiscono per renderli più simili a parchi gioco che a parchi naturali. Ma un sospiro di sollievo ci permette di tirarlo anche il Canada che, pur muovendosi sulla strada della tutela del paesaggio già dal 2006 attraverso negoziazioni e battaglie, ha dallo scorso anno avviato una virata decisiva verso la protezione delle proprie foreste. Una notizia non fresca di stampa, come avremmo detto un tempo, ma che è bene ricordare in tempi di novità decisamente più tristi provenienti da oltreconfine (basti pensare alla recente marcia indietro di Trump rispetto alle leggi sul clima introdotte dal suo predecessore).
La lotta per la preservazione delle foreste è una questione di importanza cruciale non soltanto per i 26 gruppi indigeni che vivono da oltre 10 mila anni nella regione della British Columbia e che stanno quotidianamente difendendo il loro diritto al controllo sulla terra che abitano, ma lo è anche per la Great Bear Rainforest, dimora di una natura rigogliosa e selvaggia, che include volpi grigie, orsi grizzly, puma, leoni marini e otarie, salmoni, orche e megattere, senza contare i numerosi esemplari di cedri millenari che hanno messo radici su quei territori dove, tra l’altro, sopravvivono rarissimi esemplari bianchi dell’orso nero, risultato di una particolare mutazione genetica.
Ecco perché gli ambientalisti hanno sollecitato con convinzione e pressioni il Governo canadese affinché proteggesse almeno l’85% dell’area (grande più di due volte il Belgio) dalla deforestazione e da imponenti opere discutibilmente definite “di sviluppo”: il risultato è un accordo che tutela in maniera permanente una larga parte di una delle più estese foreste pluviali della Terra in zone costiere temperate. La deforestazione, controllata e a scopi commerciali, è permessa solo all’interno di un’area che occupa non più del 15% della regione, ed è regolamentata da piani di abbattimento sostenibile che non rimuovano più legno di quanto l’ecosistema riesca a sopportare. Un traguardo raggiunto grazie al contributo di associazioni come Greenpeace Canada e come Stand.Earth, che dimostra come sia possibile garantire uno sviluppo economico che non distrugga il territorio di competenza.
Se in altre parti del mondo si continua a combattere per proteggere porzioni pari all’1% o al 2% dell’ambiente, quello che ha messo in atto il Governo canadese è un processo decisivo scientificamente articolato, che potrebbe servire come modello per altri contesti analoghi, soprattutto alla luce del poco tempo che ci rimane per innalzare i livelli di protezione a fronte degli impatti disastrosi - molti dei quali irreversibilmente già in atto, inutile nasconderselo - dovuti al cambiamento climatico.
Discorsi che dovrebbero essere di buon senso, ma che sono, ahinoi, ben lontani dall’essere considerati tali e concretizzati in decisioni politiche. Ecco perché vale la pena ricordare, anche a distanza di qualche mese, che lavorare per la tutela ambientale restituisce sempre una ricompensa: semplicemente la possibilità di continuare a immaginarci vivi su questo Pianeta.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.