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Le acque reflue di Fukushima finiscono nell’oceano e...
Contaminazioni
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Foto di Jason Leung su Unsplash
Sapete che mediamente il consumo mondiale di sale è di 10,8 grammi al giorno per un adulto? Più del doppio del valore raccomandato secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La riduzione dell’assunzione di sodio è stata adottata in alcuni Paesi al mondo per proteggere la popolazione dalle malattie cardiovascolari, prima causa di morte e disabilità a livello globale.
In altri Paesi, invece, i cittadini fanno incetta di sale sempre per ragioni di salute. Di tutt’altro genere però. Lo iodio presente nel sale è inteso come un sistema a salvaguardia della tiroide, ghiandola che per prima subisce danni letali in caso di radiazioni nucleari. Fino a qualche mese fa si erano verificate incette di sale dinanzi allo scenario di un incidente a una centrale nucleare (quale quella di Zaporizhzhia, in Ucraina, coinvolta nelle operazioni belliche del conflitto con la Russia) o dell’utilizzo di una bomba atomica, minacciata in più occasioni dal presidente russo Vladimir Putin. A evocare recentemente altrettanti casi paurosi è la decisione del Giappone di rilasciare, dopo 12 anni, le acque reflue radioattive della centrale nucleare di Fukushima, collocata sulla costa orientale del Paese e gravemente danneggiata l’11 marzo 2011 a seguito di un intenso tsunami. Più di 1 milione di tonnellate di liquidi contaminati per il raffreddamento dei reattori danneggiati e immagazzinati nell'impianto nucleare sarà scaricato nell’Oceano Pacifico nei prossimi 30 anni; la procedura prevede che l’acqua venga filtrata per rimuovere la maggior parte degli elementi radioattivi e poi diluita per ridurre i livelli di trizio, un isotopo radioattivo dell'idrogeno difficile da separare dall'acqua. L’annuncio ufficiale dato da Tokyo ha avuto un profondo impatto in Cina: la frenesia di acquisto di sale (non marino per di più) si è impossessata dei consumatori ansiosi e ha determinato in pochi giorni l’esaurimento di diverse marche di sale in alcune zone della Cina:nella metropoli di Pechino e a Shanghai, la capitale commerciale della Cina, così come nella provincia costiera del Fujian.
Tali reazioni sono state politicamente (ed emotivamente) guidate dalla posizione avversa della Cina al comunicato giapponese che ha descritto lo scarico come un “atto estremamente egoista e irresponsabile”. Sotto la scure della dura reazione cinese sono immediatamente passate le importazioni di pesce nipponico, quest’ultimo bannato perché ritenuto radioattivo. Il consumo di pesce in Cina è uno dei più alti al mondo e proprio il Giappone ne fornisce una delle più abbondanti forniture. Oltre allo stop all’acquisto dei prodotti ittici giapponesi, si è generata in Cina una massiccia propaganda contro Tokyo che tocca il boicottaggio dei cosmetici, degli oltre 73mila ristoranti nel Paese e dei viaggi in Giappone: si stanno registrando significative disdette delle prenotazioni e degli approvvigionamenti in tutti i settori nonché telefonate ingiuriose o di dissenso provenienti da numeri cinesi, anche provenienti da uffici pubblici e scuole. Una catena di ristoranti di Fukushima ha segnalato di aver ricevuto più di 1000 chiamate in pochi giorni.
Una situazione talmente tesa da indurre l’Ambasciata giapponese a mettere in guardia i propri cittadini in Cina dopo gli attacchi dimostrativi con uova alle scuole giapponesi in Shandong e Jiangsu, anche invitando a evitare di parlare a voce alta in lingua giapponese. Che la vicenda delle acque di Fukushima sia cavalcata dalla propaganda cinese è evidente. Il rilascio di tali acque è stato, infatti, concordato con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica che ne ha verificato il piano in relazione al livello di radioattività, calcolato entro il limite di sicurezza. Questo aspetto non è stato affatto diffuso dai media cinesi. Se però da una parte Tokyo diffonde rapporti quotidiani (impegno che sarà mantenuto per i prossimi 3 mesi) dichiarando che l’acqua del mare intorno all’impianto nucleare non mostra livelli rilevabili di radioattività e accusa, stizzito, che gli scarti di certe centrali nucleari cinesi risultano addirittura più tossici delle acque reflue di Fukushima, allo stesso tempo cerca di ottenere un allentamento delle tensioni con la Cina, come richiesto recentemente dal Primo ministro Fumio Kishdal al premier cinese Li Quiang.
In realtà non è solo la Cina a mostrare preoccupazione. Anche se il governo della Corea del Sud ha preso atto del piano di rilascio dei liquidi contaminati di Fukushima riconoscendo che soddisfa gli standard internazionali e avrà un impatto “trascurabile” sulle persone e sull’ambiente, il premier sudcoreano Han Duck-soo ha invitato il Giappone a divulgare “in modo trasparente” le informazioni sullo scarico delle acque nei prossimi 30 anni. Alta è però la preoccupazione dei cittadini: recentemente una nutrita manifestazione di protesta si è tenuta nella capitale Seoul e la folla ha cercato di assaltare l’Ambasciata giapponese. Secondo loro, l’impatto di tale rilascio di liquidi contaminati tanto innocuo non sarà.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.