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Tunisie-ecologie, una ONG sul piede di guerra
Conservazione
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Foto: Facebook.com
La transizione ecologica é attualmente una delle espressioni più in voga. Affinché non rimanga tale é innanzitutto necessaria una generalizzata consapevolezza ecologica, una diffusa educazione all’ambiente, una cultura estesa al mantenimento della flora e della fauna. Non basta rispondere ai sondaggi che si é favorevoli ad uno sviluppo consapevole e di rispetto dell’ambiente se poi si demanda il tutto alla buona volontà di associazioni e di individui a cui il problema sta veramente a cuore.
Questo vale anche per la Tunisia.
“É diventata una priorità preservare la nostra flora e fauna ma anche le nostre risorse marine in modo che le generazioni future possano beneficiarne!”, ci dice, con convinzione ed entusiasmo, Abdelmajid Dabbar Fondatore, Presidente e animatore indefesso della ONG Tunisie Ecologie, cercando di renderci consapevoli di una causa che è sempre stata la sua battaglia di vita. “Purtroppo”, ci dice ancora con amarezza,” ne la società civile ne le autorità fanno qualche cosa per fermare il disastro che ogni giorno si presenta davanti ai nostri occhi.”
Militante ecologista, ornitologo di formazione, già nel 1978 militava nell’Associazione “ Gli amici degli uccelli”, ha fondato Tunisie-ecologie nel 2013, che oggi conta nel suo organico decine di persone, studenti e ricercatori, tutti uniti da un profondo amore e rispetto per l’ambiente.
Divulgazione é la loro parola d’ordine, associata a visite guidate a tutto il territorio tunisino, isole comprese, per mostrare cio’ che la natura offre e cio’ che l’uomo distrugge.
La loro battaglia é, soprattutto, contro il bracconaggio nel sud della Tunisia e la pesca illegale, che stanno depauperando, ogni anno sempre di più, varie specie di animali terrestri e marini.
Questi difensori degli esseri viventi di cielo, terra e mare in Tunisia, da anni lanciano le loro grida di allarme contro il bracconaggio, su larga scala, che sta decimando la fauna nel deserto del Sahara. Da anni denunciano l'atterraggio sistematico di diversi aerei provenienti dal Qatar e da altri Paesi del Golfo Persico, carichi di pesanti attrezzature per la caccia e il rilevamento. Oltre a veicoli fuoristrada, elicotteri, telecamere termiche per perlustrare il deserto da cima a fondo, armi e falchi da caccia, alla ricerca di un uccello di una specie protetta come l’otarda o la gazzella dorcas.
Mi ritorna in mente una vacanza nel sud di questo Paese, una quindicina di anni fa, quando mi imbattei in un convoglio di una decina di 4X4, accompagnato da un elicottero, nel nord-est del Governatorato di Tozeur, nel Sahara tunisino. "Sono dei qatarioti venuti a caccia di gazzelle, lepri e otarde di Houbara, un trampoliere protetto, utilizzando falchi e armi”, mi disse, con aria costernata, l’autista del fuoristrada nel quale mi trovavo per provare l’ebrezza di attraversare alte dune di sabbia. Nulla é cambiato.
Ogni anno vengono installati campi nella zona di Om Echiah (nel versante meridionale delle montagne del villaggio di Matmata, famoso per le sue abitazioni troglodite scavate nella roccia), oppure a Bir Soltan a pochi chilometri da Ksar Ghilen, la più meridionale delle oasi tunisine, o nel Governatorato sud-ovest di Tataouine a El Oueara, e cosi’ pure in altre oasi di quello splendore della natura che é il deserto del Sahara, come Tozeur, Chebika et Hammet El Jerid.
In varie trasmissioni televisive, nel corso degli anni, il Presidente di Tunisie-ecologie ha denunciato “il mancato rispetto delle regole, che consente agli stranieri di stabilirsi nel Sahara senza permesso e con violazioni di natura fiscale: questi bracconieri importano attrezzature e auto in Tunisia senza autorizzazione e soprattutto senza pagare dazi doganali, per poi conservarli in depositi, in particolare nelle città di Gabes, Tataouine e Tozeur. E ancora, introduzione di armi nel territorio tunisino senza previa dichiarazione, mancato rispetto della legge sulla conservazione della caccia, mancato rispetto delle convenzioni internazionali, come "la Convenzione di Washington e la Convenzione di Rio" ratificate sia dai Paesi del Golfo che dalla Tunisia, per la protezione delle specie animali in via di estinzione.”
Un problema condiviso con le zone desertiche di Algeria e Marocco.
Da qualche settimana circola sui social una petizione, indirizzata al Presidente della Repubblica e ad altre alte cariche istituzionali, che ha ormai superato le 65000 firme. In essa, fra l’altro, si legge:
“In modo che il bracconaggio del Qatar nel deserto tunisino cessi immediatamente, Tunisie Écologie denuncia vigorosamente i seguenti fatti: due aerei Qatar Airways sono atterrati il 5 gennaio 2021, con armi e falchi, sul suolo tunisino all'aeroporto di Tozeur. A bordo, cittadini del ricco Qatar che, con la benedizione del Governo tunisino, contro tutte le leggi sulla protezione della fauna selvatica, vengono a saccheggiare un tesoro tunisino, la sua fauna ricca di specie rare e protette, come le gazzelle Dorcas, le otarde di Houbaras, ecc. ... Il 6 gennaio erano già a Bir Erroumi, nel deserto, con 24 falchi, 1 elicottero e almeno 12 vetture 4x4. Questo massacro è in corso dal marzo 1988, quando Ben Ali ha ricevuto il primo assegno del Qatar, e speravamo che finisse nel 2011. Non è così, ogni anno a gennaio, l'emorragia continua, la nostra terra, il nostro patrimonio naturale e la nostra fauna del deserto vengono distrutti dagli emiri del Golfo Persico, principalmente qatarioti e sauditi, con la complicità delle autorità tunisine.”
I generosi “doni” dei predoni del deserto, sotto forma soprattutto di piani di investimento in Tunisia, hanno tutta l’aria di essersi ripetuti e moltiplicati negli anni, visto che il fenomeno non si é mai arrestato e che, apparentemente, i Governi, che si sono succeduti nel dopo rivoluzione, non hanno voluto, o potuto, sradicarlo.
Nonostante gli sforzi e le prese di posizione dei Brigadieri di caccia di Gabès, della Guardia nazionale di Matmata, dell'Associazione dei cacciatori di Gabès e degli attivisti ambientali.
Ogni tanto qualche gruppo viene fermato, ma, grazie all’intervento delle loro ambasciate, é prontamente rilasciato. E il massacro continua, in barba a tutte le convenzioni internazionali sulla conservazione della fauna e delle specie.
Non meno penoso é il dossier della pesca illegale.
La pesca marittima occupa un posto preponderante nella creazione di posti di lavoro, in particolare nel sotto-settore della pesca artigianale, che rappresenta oltre il 60% del numero totale di marittimi in tutti i porti tunisini. La pesca è una componente essenziale della politica di sicurezza alimentare dello Stato e sostiene l'economia nazionale contribuendo a ridurre il deficit della bilancia commerciale. Tuttavia, il settore sta attualmente attraversando difficoltà a causa della forte pressione esercitata sulle risorse ittiche e della diffusa distruzione dell'ambiente marino dovuta all'utilizzo di attrezzature da pesca non conformi alle normative nazionali. Questa situazione, che è il risultato di una cattiva gestione e di uno sfruttamento irrazionale delle risorse ittiche, potrebbe compromettere la sostenibilità di questo settore e la generalizzazione della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, supportata dalle lobby della pesca industriale.
In un articolo apparso sul giornale La Presse, il quotidiano più diffuso in Tunisia, é stato scritto che “vittima del traffico di pesca é il mare su cui si affaccia il Golfo di Gabès, nel sud della Tunisia, che si estende dalla costa della città di Chebba, governatorato di Mahdia, ai confini tunisino-libici. I suoi stock ittici continuano a collassare e svuotarsi ad alta velocità: da 270 specie marine negli anni '60 a meno di 70 oggi. I campanelli d'allarme sono stati più volte suonati dalle associazioni che si occupano della tutela del mare dal degrado delle risorse ittiche.”
Secondo Abdelmajid Dabbar “ciò che resta dello stock ittico è oggi in grande pericolo a causa del bracconaggio in mare e del banditismo che persiste da diversi anni, in un vergognoso silenzio delle autorità interessate. Purtroppo, come tutti i Paesi del Mediterrano con coste, anche la Tunisia è vittima della pesca illegale, della pesca eccessiva e della scarsità di risorse. Ma negli ultimi anni dopo la Rivoluzione, la situazione è diventata sempre più allarmante, soprattutto nel Golfo di Gabès, che era il vivaio del Mediterraneo, dal momento che il 28% dei pesci del mare intercontinentale vi nidificava.”
Di fronte a questa situazione, la rabbia sale e i pescatori tradizionali trovano il mare come un deserto, vuoto, senza vita e senza pesci Al fine di prevenire lo sterminio definitivo del stock ittico, Il Presidente di Tunisie-ecologie ha proposto di sviluppare un sistema di tracciabilità del pesce che riprenda la barca, il proprietario, la zona di pesca, l'acquirente all'ingrosso, tutta la filiera. Ma si é ancora molto lontani da questo.
Prevenire, proteggere e conservare l’ambiente sono le parole d’ordine. Oggi se ne parla sempre di più. Ma non basta la parola.
Ferruccio Bellicini

Pensionato, da una quarantina d’anni vivo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, prima, Tunisia, ora. Dirigente di una multinazionale del settore farmaceutico, ho avuto la responsabilità rappresentativa/commerciale dei Paesi dell’area sud del Mediterraneo, dal Libano al Marocco e dell’Africa subsahariana francofona. Sono stato per oltre 15 anni, alternativamente, Vice-Presidente e Segretario Generale della Camera di commercio e industria tuniso-italiana (CTICI). Inoltre ho co-fondato, ricoprendo la funzione di Segretario Generale, la Camera di commercio per lo sviluppo delle relazioni euro-magrebine (CDREM). Attivo nel sociale ho fatto parte del Comitato degli Italiani all’estero (COMITES) di Algeri e Tunisi. Padre di Omar, giornalista, co-autore con Luigi Zoja del saggio “Nella mente di un terrorista (Einaudi 2017).