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Cosa succede ai mari fuori delle giurisdizioni nazionali?
Conservazione
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Foto: Pixabay.com
Conservare le acque internazionali e preservare la loro ricca biodiversità è una sfida per le aree marine che non rientrano nelle responsabilità di un solo paese. Per questo il Common Oceans ABNJ Program, nato su iniziativa della Fao, in quest'ultimo decennio ha fatto fare notevoli progressi alla tutela delle acque internazionali, rendendo meno dannosa la pesca a diverse specie marine, tra le quali tartarughe e tonni. Nel solo caso del tonno, per esempio, la forte domanda, abbinata all’eccessivo numero di pescherecci che imperversano nelle acque internazionali, ha fatto sì che gli stock di questa specie fossero esposti per anni a un’immensa pressione con prelievi di 6 milioni di tonnellate annue e ricavi pari a quasi 12 miliardi di dollari. Il rischio di compromettere la sopravvivenza della specie è stato più che concreto. Per riuscire a contrastare questa tendenza il Common Oceans ABNJ Program, in collaborazione con ben 60 partner, tra i quali le organizzazione regionali di gestione della pesca in acque profonde, l’United Nations Environment Program (Unep), la World Bank, il Wwf, la società civile, vari governi, il settore privato e molte organizzazioni non governative, ha riunito scienziati e biologi capaci di sviluppare strategie e processi di pesca più sostenibili che hanno consentito di fissare e applicare limiti di cattura che non compromettessero più l’equilibrio degli stok ittici.
Finanziato con 50 milioni di dollari dal Global Environment Facility (GEF) e finalizzato alla tutela delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale (le Areas Beyond National Jurisdiction – ABNJ appunto) o acque internazionali, cioè le acque che coprono il 40% del pianeta e costituiscono quasi il 95% del volume dei mari, questo ambizioso programma ha provato ad affrontare scientificamente il nesso critico tra ambiente e sistemi alimentari più sostenibili. Nell’ultimo ABNJ Global Steering Committee Meeting di fine gennaio a Roma, il Programma ha avviato le discussioni per incrementare le misure per contrastare la pesca illegale e migliorare il coordinamento tra tutte le parti interessate nell’uso sostenibile delle acque internazionali. Per Maria Helena Semedo, vicedirettrice generale della Fao per il clima e le risorse naturali, “Il Programma fino ad oggi ha creato un’unica e ampia partnership promuovendo la gestione sostenibile delle risorse ittiche e delle buone pratiche basate sugli ecosistemi e lo ha fatto con risultati eccezionali. Ci auguriamo di estendere questa iniziativa per continuare a salvaguardare la nostra biodiversità marina e contribuire agli obiettivi e alle aspirazioni globali dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”.
La road map concordata a Roma per raggiungere questo ambizioso obiettivo prevede di tutelare l’equilibrio di 8 dei 13 principali stock commerciali di tonno. Tra il 2014 e il 2019 il numero dei principali stock di tonno esposti a pesca eccessiva è stato ridotto da 13 a 5, adesso gli otto stock ittici preservati stanno attraversando una delicata fase di ricostituzione e per raggiungere nuovamente i livelli ottimali per la riproduzione devono essere tutelati. Da sola questa tutela però non basta più. Per gli scienziati del’ABNJ Program questa iniziativa deva andare di pari passo con il progressivo calo delle catture accidentali e dell’inquinamento. Gli adeguamenti delle attrezzature da pesca, come per esempio il posizionamento delle reti e la formazione dei pescatori su come proteggere le specie minacciate, hanno contribuito fino ad oggi a risparmiare migliaia di mammiferi marini. Tra il 2013 e il 2018, per esempio, il tasso di mortalità dei mammiferi marini catturati dalla pesca con le reti da imbrocco pakistane nelle acque del Mar Arabico settentrionale è stato ridotto del 98% passando da 12.000 nel 2013 a meno di 200 nel 2018. La riduzione delle catture accidentali è stata resa possibile anche grazie all’adozione di dispositivi ecologici e anti-impigliamento per l’aggregazione dei pesci (i cosiddetti FAD) utilizzati per attirare i pesci. Prima dell’avvio del Programma non esistevano linee guida per i FAD nella pesca oceanica, adesso saranno ulteriormente estese le linee guida per l’utilizzo di FAD ecologici e anti-impigliamento, mentre per ridurre ulteriormente l’inquinamento da plastica in mare sono in corso studi sull’uso di materiali biodegradabili per gli stessi FAD.
Ma la misura che forse da maggiormente la proporzione dell’efficacia del Programma è l’istituzione di 18 nuovi ecosistemi marini. Tra il 2014 e il 2019 il Programma, infatti, ha contribuito a istituire e proteggere ecosistemi marini vulnerabili in 18 nuove aree che ospitano specie di acque profonde come coralli e spugne, il che ha comportato il divieto di pesca in queste aree. Due dei siti si trovano nell’Oceano Pacifico, cinque nell’Oceano Indiano meridionale, uno nell’Oceano Pacifico meridionale, sette nelle acque internazionali che circondano l’Antartide e tre nel Mediterraneo. Adesso per gli scienziati dell’ABNJ Program è necessario sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dei mari per rafforzare ulteriormente il processo di tutela ambientale. Per questo il Programma ha istituito un gruppo di Leader regionali ABNJ: “Mettendo in contatto rappresentanti e autorità di 34 Paesi e di vari settori, il Programma rafforzerà la loro capacità di partecipare ai negoziati in corso per un nuovo strumento internazionale giuridicamente vincolante ai sensi dell’United Nations Convention on the Law of the Sea sulla conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale (BBNJ)” ha concluso la Semedo. Una speranza in più, speriamo vincolante, per il futuro del nostro Pianeta.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.