Ecuador: paese di meraviglie e orrori

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Foto: Unsplash.com

"Gli ecuadoriani sono esseri strani e unici: dormono pacificamente in mezzo a vulcani scricchiolanti, vivono poveri in mezzo a ricchezze incomparabili e si rallegrano con musica triste", disse circa 185 anni fa il grande esploratore tedesco Alexander Von Humboldt. Ad oggi, il suo verdetto calza ancora a pennello. L’Ecuador è quel paese che spensieratamente cavalca la linea equatoriale (“la cosiddetta Metà del Mondo”) e, seppur piccolo in termini assoluti, conserva paesaggi straordinari e climi estremamente diversi e variegati, che si estendono su altitudini che vanno dal livello del mare agli oltre 6 mila metri dei suoi vulcani, alcuni ancora molto attivi. Un paese contraddistinto dall’impenetrabile giungla amazzonica e le sue misteriose medicine ancestrali, dai rigidi altopiani andini ed i colori sgargianti che tingono gli abiti dei suoi popoli, dalla costa oceanica, dalle sue località tropicali, tanto deliziose nella gastronomia quanto rumorosamente accoglienti nei modi, e infine dalle isole incantate, le Galapagos, nome ispirato dalle tartarughe giganti che le abitano.

Se da una parte si viene ammaliati da un territorio di un rilievo naturalistico unico, affascinante e stimolante, dall’altra rimane la fotografia desolante del modo in cui è gestito. E la pandemia non ha fatto altro che rivelare ed amplificare i limiti ben noti di una politica cieca, ingannevole, populista e dannosa, che si dividerà nuovamente in un contesto di immobilità generale in vista delle elezioni presidenziali del 7 febbraio 2021. Dopo quasi 3 anni e mezzo del governo di Lenin Moreno, il cui operato è ormai condannato dall’87% della popolazione (nonché dai 3 vicepresidenti che hanno dato le dimissioni nel periodo), il panorama politico sembra non aver costruito una valida proposta, competente e onesta, che sappia affrontare coscientemente gli enormi problemi del paese. 

Alle candidature presidenziali si è presentata la solita baraonda di personaggi mezzi sconosciuti, improvvisati e gente con scheletri giudiziari, tutti decisi a cambiare il paese, ma nessuno con programmi seri, che inevitabilmente deluderebbero il popolo. I papabili sono sempre gli stessi, da una parte la corrente correista (fedele a Rafael Correa) che si è riformata in una coalizione di sinistra, dall’altra il resto del paese, che ancora una volta, dopo il 2013 e il 2017, si affiderà al “banchiere affamato di potere” Guillermo Lasso, a capo di un’alleanza di destra che va dai liberali al partito cristiano.

La coalizione Unión por la Esperanza (UNES), dopo la condanna in via definitiva di Correa per tangenti e la sua interdizione dalla vita politica, ha deciso di rimpiazzare l’ex presidente con Carlos Rabascall, che accompagnerà il candidato presidente Andrès Arauz, 35enne con la faccia pulita e incensurata, e probabilmente acerba e manipolabile. Questo, poche ore dopo che il Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) avesse deliberato la cancellazione dalle liste di Fuerza Compromiso Social (FCS), il partito di Correa, per irregolarità nel procedimento di iscrizione. Ximena Peña, candidata del partito di governo Alianza País, e Cèsar Montufar, primo esponente del Partito Socialista, hanno meno chances di arrivare al ballotaggio. Nel frattempo Guillermo Lasso gongola nella sua eterna filippica contro Correa, la corruzione e la mano pubblica. In caso di vittoria delle destre, l’Ecuador sarà presumibilmente convertito come un calzetto, dando maggiore spinta a tre settori chiave: petrolio, idroelettriche e miniere; oltre a riforme strutturali che coinvolgeranno salute, educazione, il freno sui sussidi, e lo stimolo di uno shock di investimenti nel pubblico e nel privato, soprattutto volto ai tradizionali settori dell’agricoltura e allevamento. Insomma le solite ricette ipovedenti, che peró potrebbero essere accolte dall’FMI, il cui CdA è in fase di approvazione di un nuovo proramma di prestito per 6,5 miliardi di dollari. L’FMI, evidentemente preoccupato sull’incertezza politica del paese, si è riunito pochi giorni fa con i principali leader, per conoscere il loro punto di vista sugli impegni che il paese si assumerebbe a fronte del prestito.

Insomma una giostra circense interminabile, che finisce per confondere ancora di più gli elettori, che in rari casi accedono a informazione obiettiva. Ma i cittadini devono innazitutto rendersi conto di come sta il loro paese, e di come si sia comportato in più di 6 mesi di crisi sanitaria, stato d’emergenza e coprifuochiL’articolo dell’Osservatorio Sociale dell’Ecuador è preziosissimo per capire il contesto nazionale e regionale, oltre alle negligenze del paese. I risultati sono sconfortanti: nonostante i proclami del governo, al 31 agosto, l’Ecuador era terzultimo nella classifica dei paesi sudamericani per tamponi effettuati (prove PCR), soltanto 14,6 ogni 1.000 abitanti, superando solo il Suriname e la Guyana, mentre il Cile ne aveva realizzati 127,2 e la vicina Colombia 51,6. Questo comporta l’enorme difficoltà di appurare la gravità della pandemia nel paese e l’impossibilità di pubblicare dati affidabili. D’altro canto i dati di Our World in Data piazzano l’Ecuador all’ottavo posto a livello mondiale per decessi su 100 mila abitanti (58,8) e per tasso confermato di letalità del Covid-19 (9,8%).

Questa situazione si aggrava analizzando il numero di decessi dal primo gennaio al 30 agosto del 2020, rispetto ai tre anni precedenti: il tasso di mortalità “in eccesso” e non registrato nelle statistiche ufficiali è di 188,1 ogni 100.000 abitanti, il più alto dei 20 paesi presi in esame nel report Coronavirus Tracked del Financial Times. In aggiunta, lo Stato ha adottato un attegiamento di sempre minor trasparenza sull'evoluzione della pandemia: ad oggi non esiste un unico portale statistico con informazioni di pubblico dominio sull’espansione del virus e sui suoi disaggregati per caratteristiche dei contagiati. Aspetto che conferma un rischiosissimo disinteresse sull’analisi delle disuguaglianze materiali che connotano la popolazione. Rispetto alle severe misure restrittive applicate, che durante i primi due mesi imponevano addirittura un coprifuoco di 15h giornaliere, si mostra come non siano state efficaci, e non siano state accompagnate dal rafforzamento del sistema globale di sanità pubblica, in particolare legato al controllo epidemiologico. In più, l’azzardato alleggerimento di alcune misure e l’incentivo prematuro alla riattivazione economica di giugno hanno favorito una nuova ondata di casi perpetuata fino a fine agosto. 

Ora, però, la sfida si presenta ancora più delicata: il 12 settembre è finito lo stato di emergenza e con esso la diffusione di adeguate e tempestive informazioni epidemiologiche sulla situazione del virus. Intanto le disuguaglianze continuano ad ampliarsi, il personale sanitario non riceve ancora il proprio stipendio e le pensioni soffrono ritardi consistenti. Le casse dello Stato sono state smantellate, il debito pubblico è arrivato al 70% del PIL e si prevede una recessione dell’11% per il 2020, la peggiore della sua storia. Il ministro della sanità è arrivato ad affermare che l’Ecuador è stato "il ​​paese che ha gestito meglio la pandemia nella regione", una frase che offende le decine di migliaia di famiglie in lutto.

Se Humbolt vivesse oggi, magari concluderebbe dicendo che gli ecuadoriani sono cosí strani che fanno le cose al contrario: cosí come prima hanno costruito l’aeroporto di Quito e successivamente le strade per raggiungerlo, anche questa volta prima voteranno chi gli farà più promesse, e poi si accorgeranno di non avere un meccanismo per controllare chi li comanderà.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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