Le frontiere del crimine nel Sudest asiatico

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Asia Criminale, Baldini&Castoldi, 2025, pp 288, euro 19 copertina di M. Bulaj

Pubblichiamo un estratto del primo capitolo di "Asia criminale" un reportage inchiesta del nostro Emanuele Giordana con Massimo Morello, un collega che vive a Bangkok gran parte dell'anno. Il libro racconta le tenebre del Sudest asiatico dagli stupefacenti al riciclaggio, dalla prostituzione al gioco d'azzardo. In questo estratto si racconta delle Scam City, le città della truffa, centri lungo i confini dove un esercito di cyber schiavi cerca via web di manipolare giovani cinesi rampanti o anziani pensionati americani. Una nuova forma di modernità criminale
A Shwe Kokko, quella che abbiamo chiamato la “capitale delle Scam City”, arriviamo dopo una ventina di chilometri a Nord di Myawaddy. Il colpo d’occhio è impressionante. Ancora più sorprendente rispetto all’anno prima (il 2022 qui ora siamo nel 2023 ndr). Ai confini di un Paese disastrato dalla guerra e ai bordi di una campagna dignitosa ma povera, sorge una città a perdita d’occhio con grattacieli in vetrocemento avveniristici e luminarie che ricordano Hong Kong e Singapore. In un anno ne han fatta di strada. Il flusso di denaro non si è fermato, anche se adesso non sono i casinò a farlo girare ma le truffe telefoniche. C’è uno schermo gigante che, la sera, si illumina e proietta un enorme acquario dove fluttuano pesci virtuali. Ci sono centinaia di alloggi, decine di palazzi per uffici, gli immancabili casinò affacciati sul fiume. Il posto è talmente eclatante che un giovane imprenditore thai ci ha aperto un bar con vista sulla Scam City che si chiama, non a caso, “Chaina View”. L’errore grammaticale palesemente pacchiano (corretto l’anno dopo) fa il paio con una mini muraglia cinese in costruzione il cui sfondo è il tramonto sulla Scam City al di là del fiume.

«Cosa fanno a Shwe Kokko non lo so», dice il giovane proprietario servendo da bere succhi di frutta a giovani coppiette thai che vengono a godersi lo spettacolo di una città oscura che brilla come un diamante. Una luce sulle tenebre di cui si sa tutto ma di cui non parla nessuno. Segreti alla luce del sole, tanto che, nell’agosto 2023, è uscito persino un film cinese sulle Scam City: No more Bets di Shen Ao, un successo al botteghino in Cina da oltre 500 milioni di dollari in due mesi. Finisce subito al bando in Myanmar e Cambogia, dov’è presumibilmente ambientato visto che, nello Stato immaginario del Sudest in cui si svolge e di cui non si fa il nome, si intravedono scritte khmer. Ma c’è altro al di là delle polemiche sul danno d’immagine denunciato da Naypyidaw e Phnom Penh.

Due mesi prima dell’uscita del film nelle sale cinesi, la Thailandia ha tagliato di nuovo la luce alle Scam City mentre in luglio l’ambasciatore cinese a Yangon ha rilasciato una dichiarazione pubblica sulla «lotta ai crimini e alle frodi telematiche interne al Myanmar nelle aree di confine». Indizi che qualcosa è cambiato nell’atteggiamento dei cinesi. Da tollerante a sempre più rigido. Bangkok agisce forse di riflesso. Bisognerà aspettare ancora però per arrivare all’ennesima operazione di pulizia tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025.

Shwe Kokko nasce nel 2017 come investimento della “Yatai International Holding Group” di Hong Kong, in partnership con “Chit Linn Myaing Co. Ltd”, una società birmana, anzi karen. I Karen sono la popolazione di questa zona del Myanmar e, come abbiamo detto, sono in guerra con la giunta militare di Naypyidaw. Ma il confine attorno a Myawaddy resta controllato dal gruppo rinnegato di miliziani della Bgf, la brigata di frontiera fedele al regime. Il loro capo si chiama Saw Min Min Oo e, come altri graduati delle Bgf, siede nel CdA della Chit Linn Myaing che è dunque roba dei guardiani della frontiera. Shwe Kokko, come abbiamo detto, è però solo la punta di un iceberg. Su di lei si stende l’ombra lunga del colonnello Saw Chit Thu, un ex rivoluzionario karen diventato un imprenditore e warlord. Di lui torneremo a parlare.

Scam City

Che si tratti di interi agglomerati urbani come a Shwe Kokko o di edifici sparsi nel reticolo urbano, la connotazione delle Scam City sono i “compound”: vere e proprie prigioni blindate dove un esercito di schiavi – attirati con promesse di lauti guadagni – è obbligato a lavorare senza sosta col telefonino. «Una Scam City è in realtà un’area dove si trovano più edifici collegati con migliaia di schiavi», mi spiega Mechelle Moore, una donna coraggiosa che vive da anni a Mae Sot dove dirige Global Alms, organizzazione dedicata all'eliminazione della tratta, dello sfruttamento sessuale e dell'abuso fisico di uomini, donne e bambini. «Una Scam City vera e propria è dunque un posto caratterizzato dalla presenza di strutture collegate recintate dove nessuno può entrare, nascoste e circondate da filo spinato e da guardie armate come a KK Park, non lontano da Shwe Kokko dove semmai sono presenti degli scam center, ossia dei luoghi dove vivono persone in schiavitù ma nelle quali, per esempio, la polizia può entrare». Nel sito K25, che si trova prima di KK Park quest'ultima forse la Scam City più grande anche se Shwe Kokko si è guadagnata maggior fama), Mechelle ha potuto vedere, stando dall’altra parte del fiume e nonostante le paratie che nascondono parte del sito «persone picchiate sotto il sole cocente e costrette a correre finché non finivano a terra e poi venivano picchiate di nuovo finché non si rialzavano». Di che numeri parliamo? «Lungo tutto il confine thai – mi dice nel marzo del 2025 – potremmo arrivare a 140mila individui».

di Emanuele Giordana

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