Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi - ambientalisti

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Foto: Unsplash.com

Ricordava Bertold Brecht: “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”, cioè di persone che con grande coraggio si spendono per un’ideale, spesso mettendo a rischio la propria vita. Così, mentre la crisi ambientale e climatica è ormai una delle più urgenti minacce globali per preservare la vita sulla Terra, è sempre più grande il numero di ambientalisti e difensori della terra che i Governi non riescono a proteggere e sostenere nel loro impegno. In media, da quando nel dicembre 2015 è stato firmato l’Accordo di Parigi sul clima, ogni settimana sono stati uccisi 4 attivisti ambientali e innumerevoli altri sono messi a tacere da attacchi violenti, arresti, minacce di morte, violenza sessuale o cause legali. A confermare questa tendenza è stato il nuovo rapporto “Defending Tomorrow: The climate crisis and threats against land and environmental defenders” pubblicato a fine luglio da Global Witness, che dimostra come il 2019 sia stato l’anno con il numero più alto di sempre di vittime tra chi difende la biodiversità di foreste, cieli, zone umide e oceani: “sono stati uccisi 212 difensori della terra e dell’ambiente, in media più di quattro persone a settimana” e dato che molti casi spesso non vengono documentati e i desaparecidos non sono conteggiati, “a livello globale il numero reale di omicidi è stato probabilmente molto più elevato”.

Con ben 50 difensori uccisi nel 2019, l’industria mineraria è quella più criminale, seguita dall’agro-industria con 34 difensori uccisiMa e stata la deforestazione il settore con il più alto aumento di omicidi a livello globale: l’85% in più di attacchi contro chi si oppone alla distruzione delle foreste e 24 difensori dell’ambiente caduti nel 2019 per questa causa. Per Rachel Cox di Global Witness “L’industria agroalimentare, il petrolio, il gas e l’estrazione mineraria sono stati i principali motori di attacchi contro i difensori della terra e dell’ambiente. Forse non per caso sono anche le industrie che ci spingono ulteriormente sulla via del cambiamento climatico, attraverso la deforestazione e l’aumento delle emissioni di carbonio. Molte delle peggiori violazioni dei diritti umani e ambientali del mondo sono causate dallo sfruttamento delle risorse naturali e dalla corruzione nel sistema politico ed economico globale. I difensori della terra e dell’ambiente sono le persone che prendono una posizione contro tutto questo”. E ne pagano le drammatiche conseguenze! Soprattutto le comunità indigene  che continuano a correre un rischio sproporzionato di rappresaglie e contano il 40% delle vittime. “Tra il 2015 e il 2019 oltre un terzo di tutti gli attacchi mortali ha colpito gli indigeni - si legge nel rapporto - anche se le comunità indigene rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale”. Come negli anni precedenti, poi, anche nel 2019 un difensore dell’ambiente su 10 ucciso è stata una donna: “Spesso sono la spina dorsale della loro comunità, le donne tendono ad assumersi maggiormente la responsabilità di prendersi cura dei bambini e dei parenti anziani, oltre a cercare di guadagnarsi da vivere e lavorare come attiviste. Le donne che agiscono e parlano possono anche affrontare minacce specifiche di genere, compresa la violenza sessuale. Possono anche essere prese di mira se altri membri della loro famiglia sono difensori dell’ambiente". 

Un altro dato interessante che emerge dal rapporto di Global Witness è che oltre la metà di tutti gli omicidi segnalati l’anno scorso sono avvenuti in soli due Paesi: Colombia e Filippine. La Colombia ha registrato un picco di 64 omicidi e le Filippine di 43. Per l’United Nations Human Rights Office sono diverse le ragioni per questa crescente ondata di violenza, “A cominciare dai problemi in Colombia posti dall’attuazione dell’Accordo di pace del 2016, compresa la riforma agraria e i programmi volti a incoraggiare gli agricoltori a passare dalle colture illegali a quelle legali”, con conseguenti cambiamenti nelle dinamiche di potere locali che hanno aumentato la violenza, mentre “Le Filippine del presidente neofascista Rodrigo Duterte sono diventate ancora più letali per gli attivisti ambientali a causa della costante diffamazione dei difensori da parte del governo e la diffusa impunità dei loro aggressori”. Non sta tanto meglio l’America Latina che conta i due terzi degli omicidi dei difensori dell’ambiente. Nel 2019, la sola regione amazzonica ha registrato 33 morti. In Brasile quasi il 90% delle uccisioni sono avvenute in Amazzonia. In Honduras gli omicidi sono aumentati dai 4 del 2018 ai 14 dell’anno scorso. L’Europa si conferma la regione meno colpita, con due persone uccise nel 2019, entrambe impegnate a fermare il disboscamento illegale in Romania. Uno degli assassinati era Liviu Pop, un ranger che proteggeva una delle più grandi foreste primordiali europee, freddato da una delle bande criminali organizzate che stanno decimando questi polmoni verdi.

Nonostante gli omicidi, la violenza e la criminalizzazione, nel 2019 i difensori dell’ambiente di tutto il mondo hanno comunque raggiunto numerosi successi. In Ecuador, per esempio, gli indios della tribù Waorani hanno ottenuto una sentenza storica che ha impedito al Governo di mettere all’asta il loro territorio per l’esplorazione di petrolio e gas. In Indonesia, dopo una lotta decennale, la comunità indigena Dayak Iban del Borneo centrale si è assicurata la proprietà legale di 10.000 ettari di terra. In un caso portato di fronte alla Corte suprema del Regno Unito dalle comunità colpite da una gigantesca miniera di rame nello Zambia, un giudice ha deciso che la denuncia può essere accolta anche nei tribunali inglesi, il che potrebbe avere implicazioni più ampie per le imprese che non rispettano gli impegni presi verso le comunità e l’ambiente dei Paesi in via di sviluppo. Per Global Witness è il momento  di “Ascoltare le richieste dei difensori della terra e dell’ambiente e amplificarleIspirati dal loro coraggio e leadership, dobbiamo spingere chi è al potere - aziende, finanzieri e governi - ad affrontare le cause profonde del problema, per supportare e salvaguardare i difensori”. 

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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