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La Bosnia è in ostaggio
Riconciliazione
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Srebrenica Memorial Center - Foto: M. D'Aquilio
Alle porte di Srebrenica, c’è il memoriale e cimitero di Srebrenica - Potočari: una distesa di piccole lapidi bianche, tutte uguali, si staglia su una collinetta verde. Di fronte, quella che fu la caserma del contingente ONU, lì a ricordare al mondo le responsabilità internazionali.
Sono passati 28 anni da quel luglio di morte.
Il sangue scorreva sulla terra tormentata di Bosnia dal ’92.
L’11 luglio si è commemorato il massacro di Srebrenica, perpetrato nel luglio del 1995 dalle forze della Republika Srpska, guidate dal generale Ratko Mladić. A Srebrenica vennero fucilati e gettati in fosse comuni 8372 uomini e ragazzi bosgnacchi, cioè bosniaci di fede musulmana. Mentre molte delle donne e ragazze vennero stuprate e abusate, prima di essere spostate in altre zone.
Il genocidio venne perpetrato dentro e nei pressi della piccola città della Bosnia orientale. Con il preciso intento di eliminare la popolazione bosgnacca, fu l’apice di tre anni e mezzo di crimini di guerra, abusi, torture e uccisioni da parte delle forze serbe in territorio bosniaco.
Ancora oggi Srebrenica, in certi discorsi pubblici in Republika Srpska, in Serbia e altrove, viene ridotta ad un evento. Come se un massacro e un genocidio potessero essere considerati “soltanto” un episodio.
Peggio: ancora oggi, Srebrenica viene negata in certi ambienti (politici) serbo-bosniaci, serbi e non solo. La glorificazione dei crimini di guerra non è altro che la precisa volontà di distorcere la storia, la negazione di cancellarla.
Mentre le vittime non riescono a trovare pace nella memoria collettiva, la Bosnia Erzegovina non trova pace con loro, a causa dei continui attacchi ad uno Stato indebolito ed immobilizzato.
La Bosnia è ostaggio dei politicanti nazionalisti ed estremisti, che hanno fatto delle rivendicazioni etnico-nazionaliste la via per costruire il proprio potere personale. Lunghe carriere politiche a scapito di tutti, comprese le persone della loro stessa etnia.
A fine giugno, si è assistito all’ennesimo atto separatista dell’entità serba di Bosnia Erzegovina (BiH), la Republika Srpska (RS). Il 28 giugno, l’Assemblea nazionale della RS ha approvato una legge con cui stabilisce la non-applicabilità delle decisioni della Corte costituzionale della BiH. La legge è apparsa subito come l’ennesima ed eclatante mossa per minare l’autorità della Corte costituzionale e, in definitiva, l’integrità della Federazione.
Una sfida che si è allargata anche al potere dell’OHR (Ufficio dell’Alto Rappresentante per la BiH). Infatti, l’Assemblea della RS ha deciso di vietare l’esecuzione delle decisioni dell’OHR.
L’OHR è l’organismo creato ad hoc con il compito di supervisionare l’attuazione degli accordi di Dayton, con cui si pose fine alla guerra.
Normalmente, la Corte costituzionale sarebbe composta da tre giudici internazionali, nominati dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, quattro nominati dal Parlamento (di norma, due croati e due bosgnacchi), e due nominati dalla RS.
Da mesi, però, in Bosnia, la Corte costituzionale non funzionava a pieno regime perché le due entità che costituiscono la Federazione non hanno nominato i giudici che sostituissero quelli appena andati in pensione. Inoltre, la RS ha fatto pressione sull’altro giudice da lei nominato, Zlatko Knežević, perché si ritirasse anticipatamente.
Per poter lavorare, la stessa Corte ha deciso una modifica al suo regolamento, con cui possa deliberare grazie alla maggioranza semplice dei giudici.
Allora, la RS ha reagito con la legge di inapplicabilità delle decisioni della Corte nell’entità serbo-bosniaca.
Più di un osservatore ha fatto notare che l’obiettivo di Dodik e alleati è quello di estromettere i giudici internazionali dalla Corte, oltre che spostare il potere decisionale nelle mani delle entità. Così facendo, Dodik punta ad una reazione della comunità internazionale di compromesso, piuttosto che di misure decisive contro di lui o della RS.
Ancora una volta, queste leggi si inseriscono nella più ampia strategia secessionista guidata da Milorad Dodik, attuale Presidente dell’entità serba. E di vero e proprio piano secessionista bisogna parlare, considerate le decisioni che già dal 2021 sono state portate avanti con continuità dalla RS.
Dodik ha così ripreso il percorso di assalto alle istituzioni centrali che, attraverso il ritiro di competenze, ha l’obiettivo di svuotarne il potere. Come egli stesso aveva ammesso, lo scoppio della guerra in Ucraina aveva sospeso il progetto secessionista per evitare ulteriori complicazioni del posizionamento geopolitico della RS. Ricordiamo che l’entità serba di Bosnia si è mantenuta neutrale nei confronti dell’aggressione russa. Dodik, probabilmente il più vicino fra gli alleati di Putin in area europea, avrebbe tentato di bloccare il voto favorevole della Bosnia nella risoluzione ONU di condanna dell’aggressione. Il Presidente della RS ha continuato a coltivare rapporti di vicinanza con Mosca.
Hamza Karcic (Professore associato nella facoltà di scienze politiche dell’Università di Sarajevo) ha scritto in un articolo per Foreign Policy: «in circostanze normali, uno Stato reagirebbe a mosse così palesi verso la secessione, annullando le decisioni illegali ed emettendo mandati di arresto […]. Ma in Bosnia lo Stato è in ostaggio da tempo […]. Agli ex secessionisti serbi sono stati concessi ampi poteri - una Republika Srpska altamente autonoma e veti a livello statale - in cambio della permanenza in Bosnia. Di conseguenza, le forze secessioniste sono arrivate a occupare una serie di posizioni istituzionali chiave nel Paese. Con la conquista dello Stato pressoché completa, la Bosnia si trova ora a dover rispondere all'ultimo passo verso la secessione».
Ed effettivamente, in qualsiasi altro Stato democratico, un attacco alla Corte costituzionale sarebbe considerato un colpo di stato.
Sarebbe proprio l’arrendevolezza alle istanze etnico-nazionaliste ad attirare critiche anche nei confronti dello stesso OHR, i cui poteri sono stati messi in discussione dalla RS.
La reazione dell’Alto Rappresentante – carica oggi ricoperta dall’ex ministro tedesco all’agricoltura Christian Schmidt – non si è fatta attendere. Schmidt ha sostenuto che le leggi approvate dall’Assemblea della RS sono in chiara violazione della Costituzione della BiH. Dato che le leggi della RS non possono derogare alle disposizioni della Corte costituzionale, queste leggi sono chiaramente incostituzionali e la loro attuazione è perseguibile penalmente.
Insomma, queste leggi sono illegali.
Il Professore Hamza Karcic ha ricordato che «a differenza dei politici bosniaci della Federazione, Dodik si è fermamente rifiutato di riconoscere la nomina di Schmidt come Alto Rappresentante e ha giurato di ignorare le decisioni dell'organismo. E finora ha mantenuto la parola, almeno ufficialmente. […] Ora ha alzato la posta in gioco, impedendo ufficialmente l'attuazione delle decisioni dell'OHR nel 49% del Paese. […] Le azioni di Dodik» prosegue «sono una sfida diretta sia a Schmidt personalmente che all'OHR come istituzione.»
Le contromisure di Schmidt saranno, quindi, essenziali per definire il futuro della BiH.
In una lettera aperta rivolta ad attori nazionali e internazionali, un gruppo di intellettuali e artisti della BiH hanno chiesto che sia fatta una resistenza risoluta ai fattori (e agli attori) disgreganti.
I firmatari chiedono che non si scenda a compromessi con tali attori a scapito dello Stato di Bosnia Erzegovina. Nella lettera si legge anche che l’OHR, nella persona di Schmidt, ha finora ampiamente omesso di agire in conformità agli obblighi del suo mandato. Oltre a criticare Schmidt per avere cambiato negativamente la legge elettorale, viene criticato anche per non avere rimosso dalle cariche i responsabili delle leggi distruttive dell’ordine costituzionale.
La comunità internazionale viene rimproverata di avere, negli anni, solo condannato i ripetuti attacchi allo stato bosniaco, senza che le parole siano state seguite da azioni efficaci per fermarli. L’OHR e la comunità internazionale sarebbero stati solo osservatori di una crisi in continuo divenire, limitandosi a esprimere preoccupazione.
Parole che non basteranno a ricomporre uno Stato in crisi da trent’anni.
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.