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Cosa sta succedendo in Bosnia?
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Foto: Unsplash.com
Sono passati ventisei anni dalla firma degli accordi di Dayton e dalla fine della guerra in Bosnia. Più che una pace fu il congelamento del conflitto interetnico, ma la tensione è rimasta costante e palpabile. La guerra in Bosnia, con le sue atrocità e oltre 100.000 morti, rimane un segno indelebile nella storia d’Europa e non solo. Una ferita mai rimarginata, alimentata da accuse e recriminazioni reciproche. Il sistema bosniaco appare, più che altro, un rattoppo instabile e complicato. Ora però la situazione si è davvero aggravata: non si tratta più soltanto di proclami, ma azioni concrete. Il trattato di Dayton è a rischio; soprattutto è in pericolo la pace.
Se di primo acchito tutto sembra ridursi al protagonismo di uno solo, un one man show, a guardar bene, invece, gli interessi nella partita sono tanti e le parti in causa pure. Così i Balcani rischiano di tornare ad essere l’epicentro di uno scontro frontale fra più ampi interessi geopolitici di blocchi contrapposti.
Tutto prende avvio dalle aspirazioni secessioniste di Milorad Dodic, l’ex presidente della Republika Srpska (RS), l’entità serba in Bosnia Erzegovina, e attuale membro del consiglio di Presidenza. La Presidenza bosniaca è tripartita, ciascuno a rappresentare un’etnia: bosniacchi, croati e serbi. Le due entità autonome che compongono lo Stato bosniaco sono quella croata-bosniacca da un lato e quella serba dall’altro.
Le ambizioni separatiste di Dodik non sono una novità, ma adesso a preoccupare sono le azioni formali che stanno seguendo le dichiarazioni. Le mire indipendentiste prevedono il “ritiro” di competenze dalle autorità centrali. All’inizio di ottobre Dodik ha annunciato che la magistratura, le forze di sicurezza e l’intelligence bosniache non saranno più ammesse nel territorio dell’entità serba e che verranno sostituite da istituzioni di sola etnia serba entro la fine di novembre. Qualche settimana dopo la RS ha approvato l’istituzione di un’agenzia per l’approvvigionamento dei medicinali a cui dovrebbe seguire un’autorità fiscale e, soprattutto, un esercito indipendente. E anche se Dodik ha negato di ambire alla secessione, di fatto il percorso intrapreso sembra proprio andare in quella direzione.
Il leader serbo-bosniaco ha affermato che non ci sarà una nuova guerra e che la piena autonomia (o, a suo dire, “il ritorno all’originale Dayton”) si raggiungerà con una transizione pacifica. Tuttavia, il nuovo rappresentante Christian Schmidt ha avvertito proprio del contrario: la prospettiva del conflitto è fondata. Si tratta della più grave crisi politica e di sicurezza dal 1995.
Il boicottaggio delle istituzioni nazionali da parte dei serbo-bosniaci era iniziato in risposta all’introduzione del reato per chi nega il genocidio di Srebrenica, i crimini di guerra e contro l’umanità, deciso dal precedente Alto rappresentante, Valentin Inzko. L’ultimo atto dell’austriaco prima della fine del suo mandato durato 12 anni. A luglio il leader serbo-bosniaco aveva colto la palla al balzo per minacciare il ritiro dalle istituzioni centrali. E a dargli manforte era arrivata la proposta della Russia di abolire del tutto la figura dell’Alto rappresentante, anziché nominare un successore. L’iniziativa viene però sostenuta soltanto dalla stessa Russia e dalla Cina, ma respinta dagli altri componenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
A ottobre Dodik ha fatto sapere a tutti di avere degli amici pronti a sostenerlo in caso di intervento militare, riferendosi presumibilmente alla vicina Serbia e alla Russia. Quest’ultima potrebbe usare i Balcani per testare la risposta degli Stati Uniti e della comunità internazionale. Ma ci sarebbero anche più di un amico europeo pronti a comprendere – e magari anche sostenere – le aspirazioni di Dodik.
Puntuale, Viktor Orban si è presentato a Banja Luka per una veloce visita semi-privata che tuttavia ha attirato poco l’attenzione dei media e a cui non è seguita alcuna dichiarazione ufficiale. Il premier ungherese ha poi proseguito il suo viaggio verso la Slovenia.
In queste ultime settimane, si sono alternate freneticamente visite diplomatiche per cercare di calmare le acque e risolvere le questioni sul tavolo. Prima sono arrivati l'inviato speciale USA Matthew Palmer e la diplomatica europea Angelina Eichhorst per portare avanti i negoziati sulla legge elettorale, che mette a rischio le elezioni dell’prossimo autunno. Lo stallo della legge elettorale alimenterebbe anche l’ipotetica aspirazione croata di formare un’entità autonoma simile a quella serba, con il sostegno dell’uno e dell’altro progetto da parte di Zagabria e Belgrado. Anche il leader turco Recep Tayyip Erdoğan ha ricevuto Bakir Izetbegovic, ex membro bosniacco della Presidenza tripartita e leader del principale partito bosniacco-musulmano, in seguito alle dichiarazioni di Dodik. Domenica 7 novembre è iniziata la visita del Vice assistente segretario di Stato americano Gabriel Escobar che ha incontrato tutte e tre le parti in causa. Escobar ha dichiarato ai media che tutti i membri della Presidenza concordano sul fatto che non ci dovrà essere un’altra guerra e che Dodik potrebbe anche fermare il suo piano di ritiro dalle istituzioni centrali.
Ma è difficile credere che la situazione di precarietà potrà essere risolta completamente e in breve tempo con dei colloqui diplomatici dell’ultima ora.
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.