www.unimondo.org/Notizie/La-guerra-fa-tremare-anche-i-Balcani-225843
La guerra fa tremare anche i Balcani
Notizie
Stampa

Foto: Unsplash.com
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, lo sguardo di molti, Ue inclusa, si è rivolto ad un potenziale nervo scoperto del continente: i Balcani occidentali. È risultata immediatamente evidente la discutibile posizione della Serbia, in bilico tra lo storico e solido legame con la Russia e l’aspirazione di entrare in Unione Europea.
Venerdì 25 febbraio, secondo giorno di conflitto, è arrivata la condanna all’aggressione russa da parte del Consiglio nazionale di sicurezza serbo. Nella nota si legge che la Serbia è impegnata a rispettare l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli Stati. Per tanto, esprime il pieno sostegno alla sovranità territoriale dell’Ucraina. Tuttavia, si afferma di non considerare le sanzioni – già imposte da Usa e Ue nei giorni precedenti – di vitale importanza politica ed economica. La priorità della Serbia è quella di preservare la pace e il benessere dei suoi cittadini.
Lo stesso presidente Alexandar Vučić si è detto consapevole che la sua posizione non avrebbe incontrato l’approvazione dei partner occidentali. Vučić ha dichiarato che la Serbia è impegnata a rispettare i principi di diritto internazionale, ma la decisione di non imporre sanzioni è stata presa a tutela degli interessi serbi.
Lo European policy center (Cep) commenta che la Serbia, pur sostenendo l’inviolabilità territoriale dell’Ucraina non ha mai mostrato di volersi allineare completamente alle dichiarazioni Ue contro la Russia. Quest’ultima, infatti, è un pilastro fondamentale della politica estera serba. I due Stati avevano stabilito un partenariato strategico e partecipato a esercitazioni militari (insieme alla Bielorussia). La Serbia ha acquistato armi dal Cremlino, oltre che ad avere firmato un accordo di libero scambio con l’Eurasia Economic Union (Eaeu).
D’altra parte, è proprio la Ue ad essere il maggior partner commerciale e il principale donatore della Serbia, oltre che la sede politica delle aspirazioni serbe. Se è vero che uno Stato candidato all’adesione Ue non ha l’obbligo di allinearsi in ambito di politica estera, è altrettanto vero che ci si aspetterebbe una progressiva armonizzazione.
Il mancato allineamento serbo alle sanzioni ha incontrato un certo disappunto, espresso dagli europarlamentari Tanja Fajon e Vladimir Bilčik, capa delegazione e relatore del report sulla Serbia. In una nota, i due hanno affermato di aspettarsi che la Serbia si allinei pienamente alla politica estera e di sicurezza comune europea, comprese le sanzioni adottate contro il regime in Russia. Sarebbe un segnale che la Serbia sostiene i principi e i valori dell'Unione e l’impegno a lavorare con i partner europei verso la pace. Non c’è spazio – concludono – per l’acquiescenza dell’aggressore.
In ballo c’è anche la sopravvivenza politica dello stesso presidente serbo Vučić, alla luce delle imminenti elezioni di aprile.
Ad oggi la Serbia continua a non essere allineata alle sanzioni Ue. Misure che invece sono state adottate da altri Stati balcanici: Montenegro, Albania e Macedonia del Nord sono già finiti nella lista nera di Putin.
Il 2 marzo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Unga) ha adottato la risoluzione di condanna all’invasione dell’Ucraina. Anche se la risoluzione non è vincolante, il suo peso politico è sicuramente importante: il voto favorevole della Serbia non è quindi passato inosservato.
Infatti, il 5 marzo un comunicato stampa ha riferito di un colloquio telefonico fra i presidenti Macron e Vučić. Nel comunicato si legge che il presidente francese ha detto che, indipendentemente dai cambiamenti geopolitici in Europa e nel mondo, la Serbia rimane una priorità chiave e il primo paese ad aderire all'Unione europea.
Eppure, non sono passate inosservate nemmeno le manifestazioni pro-Russia e pro-Putin di gruppi estremisti nazionalisti sia a Belgrado che a Banja Luka, in Bosnia. Per altro, di simili manifestazioni si è avuta notizia anche dal Montenegro.
La questione Kosovo
C’è poi da menzionare la situazione in Kosovo. La Serbia continua a ritenerlo una sua provincia, non è stato riconosciuto dalla Russia (e dalla Cina) e non è membro delle Nazioni Unite. Nei giorni successivi all’invasione russa, il Kosovo aveva invocato un’accelerazione dell’entrata nella Nato e ribadita la richiesta agli Usa di stabilire una base permanente sul suo territorio. Istanze che, finora, non sono state commentate dall’Alleanza atlantica. Questa prospettiva, al momento, non sembra trovare riscontro: la Nato non prevedrebbe modifiche all’attuale impegno di peacekeeping della missione Kfor.
I timori dell’implosione del conflitto in Bosnia
Ma è la Bosnia ad essere l’epicentro delle preoccupazioni. La Republika Srpska (Rs) è l’entità autonoma della Bosnia a cui si è sta guardando con crescente nervosismo: l’aggressione all’Ucraina potrebbe innescare un effetto destabilizzante anche sulla precaria situazione politica bosniaca.
Già dallo scorso anno, avevamo dato conto dell’aumento crescente della tensione in Bosnia Erzegovina. Le velleità separatiste del presidente serbo-bosniaco Dodik e dell’entità serba si stavano concretizzando nel ritiro di competenze dalle autorità centrali al governo locale. Competenze che includono le forze militari.
All’indomani dell’aggressione russa, Dušanka Majkić (del SNSD, stesso partito di Dodik) avrebbe scritto su Twitter: «Giusto per ricordarvi: nel marzo 2021 la Russia ha affermato che reagirà nel caso la BiH dovesse compiere ulteriori passi avanti verso l’adesione alla Nato. Poi non dite che non lo sapevate».
Dapprima Dodik avrebbe commentato di voler rimanere neutrale rispetto al conflitto, ma poi avrebbe tentato di impedire il voto favorevole della Bosnia alla risoluzione dell’Unga. Inoltre, Dodik avrebbe raggiunto con una telefonata il Ministro degli esteri russo Lavrov. I due avrebbero concordato sulla necessità di monitorare l’applicazione degli accordi di Dayton, combattendo i tentativi di soddisfare Nato e Ue a scapito del popolo della Rs.
Nel frattempo, sono state aggiunte altre quattro compagnie di riserva – circa 500 soldati – in rafforzamento alla missione Eufor Althea già presente in Bosnia, passando da 600 a 1100 unità. Una misura preventiva volta a supportare il governo bosniaco nel preservare la sicurezza e la stabilità alla luce del deterioramento dello scenario internazionale. Nonostante l’implementazione della missione, nel comunicato si precisa che, al momento, la valutazione delle forze Eufor è che non vi siano minacce alla sicurezza che richiedono supporto.
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.