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Covid e rifiuti in plastica: un’emergenza nell’emergenza!
Consumo critico
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Foto: Unsplash.com
Riusciremo a vivere nella “Donut Economics” prospettata dall’economista inglese Kate Raworth, cioè dentro i limiti naturali del pianeta, assicurandoci che le comunità più fragili e povere non rimangano sempre più indietro? Nel pieno del primo lockdown gli scienziati del Club di Roma in un editoriale pubblicato su Project Syndicate, si erano detti ottimisti: “Gli esseri umani sono resilienti e imprenditoriali. Siamo perfettamente in grado di ricominciare. Se impariamo dai nostri fallimenti, possiamo costruire un futuro più luminoso di quello che è attualmente in serbo per noi. Accogliamo questo momento di sconvolgimento come un’opportunità per iniziare a investire in resilienza, prosperità condivisa, benessere e salute planetaria”. Come a dire “Andrà tutto bene solo se non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema!”. La normalità appunto, quella miope che in Italia fa pensare che per superare l’emergenza serva posticipare la plastic tax, proprio mentre l’aumento nei consumi di plastica vergine spinto dal Covid-19 e dal concomitante crollo del prezzo del petrolio sta mandando completamente in crisi il riciclo dei materiali plastici.
I primi conti ecologici ed economici della pandemia a livello globale sono stati fatti da uno studio pubblicato lo scorso settembre da Science dal titolo “Accumulation of plastic waste during Covid-19” che ha analizzato le ragioni per cui la plastica monouso è tornata ad essere d’attualità durante questa pandemia, con il suo pesante carico di rifiuti, inquinamento ed emissioni di CO2. Per i ricercatori questo virus ha portato in eredità un fabbisogno stimato dell’Organizzazione mondiale della sanità “di centoventinove miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti al mese nel Mondo”, dispositivi ai quali vanno aggiunti altri rifiuti sanitari, anch’essi per larga parte in plastica, come camici usa e getta e gli stessi disinfettanti per le mani in bottiglia, i cui consumi sono aumentati esponenzialmente in questi mesi. Allarmante è anche il contributo enorme dell’e-commerce con tutti i suoi imballaggi in plastica vergine, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. “Si prevede - ha spiegato Tanveer M. Adyel, uno gli autori - che le dimensioni del mercato globale degli imballaggi in plastica cresceranno da 909,2 miliardi di dollari nel 2019 a 1.012,6 miliardi entro la fine del 2021, con un tasso di crescita annuale del 5,5% soprattutto a causa della risposta alla pandemia”.
Stando allo studio di Science attualmente la plastica utilizzata durante questa crisi sanitaria, che in larga parte finisce nell’indifferenziato, quando non nell’ambiente, “Esercita una pressione eccessiva sulle normali pratiche di gestione dei rifiuti, e finisce per privilegiare soluzioni che dovrebbero stare più indietro nella relativa gerarchia dello smaltimento, come la termovalorizzazione o peggio la discarica. Senza contare lo scenario in assoluto peggiore con la dispersione dei rifiuti in ambiente, già osservata purtroppo sulle spiagge e nelle acque”. Inoltre, dal punto di vista economico, l’emergenza sanitaria ha reso la plastica vergine ancora più conveniente, visto che con le fabbriche chiuse o a regime ridotto e i trasporti crollati si è ridotta notevolmente la domanda e il prezzo globale di petrolio rendendo “più vantaggioso produrre plastica vergine da risorse fossili piuttosto che utilizzare materiali plastici riciclati, la cui domanda è diminuita assieme ai margini di profitto del riciclo”.
Attualmente, proprio alla luce della minore domanda di plastica riciclata, “molte amministrazioni locali europee hanno avuto difficoltà nel gestire lo smaltimento dei rifiuti plastici in modo sostenibile" e secondo gli ultimi dati raccolti dall’United Nations Conference on Trade and Development (Unctad) “circa il 75% delle materie plastiche dei prodotti legate alla gestione del coronavirus rischia di finire in discarica” con costi economici e ambientali sconcertanti. Che fare? In Italia, per esempio, per rendere l’economia circolare più efficace e sostenibile sarebbe ora di incentivare anche la domanda di materiali riciclati, altrimenti il sistema non potrà reggere per sempre. I metodi posso essere diversi, tramite ad esempio l’Iva più bassa su prodotti da riciclo, crediti d’imposta ad hoc (molti già varati, ma non sempre operativi a causa di mancanza dei decreti attuativi e adesso anche di un Governo...) e soprattutto attraverso un’effettiva applicazione degli acquisti verdi legati all’economia circolare. Come avevamo ricordato in settembre “Il Green Public Procurement (Gpp), ovvero gli acquisti pubblici verdi della pubblica amministrazione, sono dal 2016 un vanto della normativa italiana e sono stati introdotti in tutte le procedure d’acquisto pubblico di servizi e prodotti. All’atto pratico, però, il Gpp rimane ancora legato a quote risibili sugli acquisti effettivi della pubblica amministrazione, limitando di fatto quello che potrebbe (e dovrebbe) essere uno dei principali motori della green economy nel nostro Paese”.
Eppure nel 2019 il focus Censis - Confcooperative “Smart&Green, l’economia che genera futuro“ stimava che da qui al 2023 ogni 5 nuovi posti di lavoro creati dalle imprese presenti in Italia sarà generato da aziende attive in ambiti legati al mondo green e del riciclo. In termini assoluti si tratta di 481.000 posti di lavoro che non arriveranno da soli, senza investimenti e una riqualificazione più sostenibile anche della spesa pubblica. Incoraggiare l’economia circolare, quindi, è oggi un investimento, non una spesa, così come prevedere dei meccanismi di incentivi e dei premi di produttività per le imprese che anche in questa fase pandemica, si stanno distinguendo per sostenibilità e per la creazione di occupazione green. In questa cornice anche della spesa pubblica post Covid-19 dovrebbe essere un volano di sviluppo sostenibile. Un esempio arriva proprio dalla plastica riciclata: secondo Confcooperative “La plastica riciclata può dare vita a oggetti green che possono essere inseriti tra gli acquisti della pubblica amministrazione, la cui spesa annuale ammonta a oltre 170 miliardi. Se di questi se ne destinassero 20 miliardi, attraverso gare di appalto, all’acquisto di prodotti nati da plastica riciclata, si genererebbe nuova occupazione, che tra filiera diretta e indiretta, creerebbe lavoro per circa 80.000 persone in meno di 3 anni”. Sarebbe un bel modo di ripartire nell'Italia del Covid-19. Ci serve solo un Governo capace di farlo!
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.