La plastica è per sempre...

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Foto: Unsplash.com

Si legge l'etichetta e la si mette fiduciosi tra gli imballaggi leggeri, convinti che anche se consumiamo della plastica, questa verrà riciclata. Ma è davvero così? In realtà solo uno scarso 10% della plastica prodotta in tutto il mondo è realizzata con materiale riciclato, mentre la maggior parte è ancora prodotta da combustibili fossili, principalmente carbone e petrolio. Un impronta ecologica quella della plastica che è ancora oggi responsabile di circa il 4% delle emissioni globali di gas serra. A metterlo nero su bianco non sono i nemici dell'economia, dei dogmatici e ideologici ambientalisti dalla crociata facile, come vengono troppo spesso definiti gli attivisti green da politici interessati solo a proteggere le potenti e ricche lobby industriali e non certo il nostro Pianeta, ma lo studio Complexities of the global plastics supply chain revealed in a trade-linked material flow analysis” realizzato dall’Università Tsinghua di Pechino e pubblicato lo scorso aprile sulla rivista scientifica Communications Earth & Environment. Questi ricercatori hanno analizzato dei campioni dei 400 milioni di tonnellate di plastica prodotte nel solo 2022 e di queste, “solo 38 milioni di tonnellate, pari al 9,5%, sono state riconosciute come ottenute da materiali riciclati”. Nel dettaglio, il 36,2% dei rifiuti plastici è stato inviato direttamente in discarica mentre il 22,2% è stato incenerito. Solo il 27,9% dei rifiuti è stato avviato al riciclo, ma di questi, il solo 50% è stato effettivamente riciclato, il 41% incenerito e l’8,4% smaltito in discarica.

Per i ricercatori di Pechino “Il riciclaggio della plastica è spesso complicato dalla presenza di scarti alimentari o di etichette sugli imballaggi, o dalla diversità e complessità degli additivi utilizzati nei materiali”. Un altro ostacolo evidenziato è di tipo economico: “Spesso è più conveniente produrre plastica vergine che riciclarla. Ma non è la soluzione giusta dal punto di vista della tutela ambientale”. Questo interessante quanto allarmante studio mette in evidenza anche altri aspetti relativi all’utilizzo e al riciclo di questo materiale. Ad esempio certifica che mentre la Cina è il più grande produttore e consumatore di plastica, sono gli americani che consumano più plastica pro capite, l’equivalente di 216 kg a persona all'anno e sono anche il paese che ha registrato uno dei tassi di riciclaggio più bassi, pari ad appena il 5%.  Nel testo viene sottolineato, inoltre, che milioni di tonnellate finiscono ogni anno nell'ambiente o negli oceani, sotto forma di microplastiche che si infiltrano nei corpi idrici, negli alimenti e persino nel corpo umano. Nonostante il 40% dei rifiuti plastici globali sia finito in discarica nel 2022, per i ricercatori cinesi “Si registra un miglioramento rispetto al 79% stimato tra il 1950 e il 2015”. Tuttavia l’aumento crescente dell’incenerimento della plastica contemporaneo solleva non poche preoccupazioni anche per le emissioni dei gas serra. I dati indicano una transizione lenta verso un modello economico circolare, con notevoli opportunità di miglioramento nella gestione del ciclo di vita della plastica, ma per i ricercatori “Devono ancora migliorare le infrastrutture di riciclo, occorre ridurre l'uso di plastiche vergini e standardizzare le politiche globali per la gestione dei rifiuti”, tutte azioni urgenti ed essenziali per mitigare gli effetti ambientali della plastica.

Fino a quando questi passaggi non saranno fatti su scala globale il rischio è che il riciclo della plastica sia una truffa, una frode architettata da chi ha interessi a mantenere in piedi lo status quo fatto di inquinamento "per sempre". Era questa del resto la tesi ben documentata del Center for Climate Integrity (CCI), un'associazione statunitense che lo scorso anno aveva pubblicato il report “La frode del riciclo della plastica. Come Big Oil e l’industria della plastica hanno ingannato il pubblico per decenni e causato la crisi dei rifiuti di plastica”. La ricerca, che pur senza esplicitarlo sembra prendere in considerazione principalmente il mondo degli imballaggi, prendeva le mosse da un’ampia serie di documenti per sostenere che il riciclo della plastica, almeno negli USA, non è altro che uno specchietto per le allodole utile a garantire alle imprese dei fossili e della plastica la libertà necessaria a perpetuare i loro affari, in barba agli effetti per l’ambiente e per la vita sul pianeta. “Alla base della crisi dei rifiuti di plastica - affermava la CCI - c’è una campagna decennale di frodi e inganni sulla riciclabilità della plastica. Nonostante sappiano da tempo che il riciclo della plastica non è sempre né tecnicamente né economicamente sostenibile, le aziende petrolchimiche – da sole e attraverso le loro associazioni di categoria e gruppi di facciata – si sono impegnate in campagne di marketing e di educazione pubblica fraudolente, volte a ingannare il pubblico sulla fattibilità del riciclo della plastica come soluzione ai rifiuti plastici”. Queste campagne e le attività di lobbying avrebbero “di fatto protetto e ampliato i mercati della plastica, bloccando al contempo l’azione legislativa o normativa che avrebbe dovuto affrontare in modo significativo i rifiuti e l’inquinamento da plastica”.

Il lavoro del Center for Climate Integrity sostine quindi che “La maggior parte delle materie plastiche non può essere riciclata, non lo è mai stata e non lo sarà mai”, e questo per svariati motivi. Tra questi i più evidenti sono che “Alcuni tipi di plastica non hanno mercati finali e quindi sono impossibili da riciclare”. Già nel 1991 l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) sosteneva che “sembra che attualmente solo due tipi di plastica possano essere considerati per la trasformazione in oggetti di alta qualità, il PET e l’HDPE”, in particolare quelli provenienti dalle bottiglie e “Questo rimane vero più di 30 anni dopo”, affermava il report. Esiste poi il problema della grande varietà di materiali raccolti sotto l'etichetta ombrello della plastica, una varietà che comporta serie difficoltà di selezione dalla raccolta differenziata, senza contare poi “Il costo più alto della materia prima seconda rispetto a quella vergine”, “La degradazione dei polimeri durante il riciclo della plastica e la presenza di additivi che ne limitano la riciclabilità”. In sintesi secondo la CCI per decenni le aziende petrolchimiche e l’industria della plastica sono state a conoscenza dei limiti tecnici ed economici che rendono la plastica non riciclabile e non sono riuscite a superarli, ma nonostante questa consapevolezza, “Hanno continuato ad aumentare la produzione, portando avanti una campagna ben coordinata per ingannare i consumatori, i politici e le autorità di regolamentazione sul riciclaggio della plastica”. Anche se in Italia il Consorzio Nazionaleper la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Plastica (COREPLA) vanta risultati decisamente migliori è solo consumando meno plastica e scegliendo prodotti il più possibile sfusi che possiamo dare un nostro immediato e tangibile contributo alla lotta contro l'inquinamento da plastica.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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