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Pakistan: figli di un dio minore
Religione
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Foto: Unsplash.com
Il Pakistan ha cercato e ottenuto l’indipendenza dall’India nel 1947 soprattutto per amore della libertà religiosa, eppure oggi per le minoranze religiose è sempre più difficile vivere in questo Paese che è stato capace di discriminare le differenti fedi persino nella distribuzione di aiuti alimentari e di protezioni sanitarie per il Covid-19, ma questa è solo la punta di un iceberg che non si limita a ledere i diritti civili. “Ho visto mio figlio sanguinare, livido e privo di sensi. Ho urlato il suo nome, gli ho spruzzato dell’acqua sul viso e l’ho schiaffeggiato dolcemente per svegliarlo. Ma non si muoveva più”. Sono le parole, raccolte in un’intervista dalla ong British Pakistani Christian Association, di Ghafoor Masih, un cristiano, padre del 24enne Saleem Masih, picchiato a morte nel villaggio di Baguyana lo scorso 25 febbraio, punito per aver fatto il bagno in una vasca d’irrigazione agricola usata dai musulmani. Il 4 giugno è toccato a Nadeem Joseph un altro cattolico ferito gravemente a colpi d’arma da fuoco da alcuni vicini musulmani per aver comprato casa in un quartiere musulmano nella colonia cittadina di Sawati Phatak, a Peshawar. Gli aggressori, alcuni dei quali sono stati subito arrestati, volevano costringere Nadeem e la sua famiglia ad abbandonare l’abitazione. In una nota la Commissione Nazionale Pakistana Giustizia e Pace ha condannato l’atto di violenza nei suoi confronti sostenendo che “Le autorità devono fare il possibile per catturare tutti i colpevoli. Tutti hanno il diritto di comprare una proprietà in Pakistan. L’aggressione è una chiara violazione dei diritti umani e non può rimanere impunita”.
Purtroppo questi sono solo i due casi più eclatanti, ma sono sempre di più e coinvolgono non solo i cristiani, ma tutte le minoranze religiose del Paese. Il tentativo di bloccare la costruzione di un tempio indù a Islamabad lo scorso mese è un altro esempio di odio verso i non musulmani e secondo padre Emmanuel Yousaf, direttore nazionale della Commissione Giustizia e Pace, le polemiche sulla realizzazione del luogo sacro indù riflettono la secolare ostilità delle frange più conservatrici della maggioranza musulmana nei confronti delle minoranze: “Tutto ciò è contrario ai valori sanciti nella Costituzione, che garantisce alle minoranze religiose libertà di culto e il diritto a gestire le proprie istituzioni”. Dello stesso avviso è anche Mons. Joseph Arshad, arcivescovo di Islamabad-Rawalpindi e presidente della Conferenza Episcopale Pakistana, che ha ripetutamente chiesto al Governo nelle scorse settimane di assicurare protezione a tutte le vittime della persecuzione religiosa e a chiunque sia ancora in pericolo a causa della propria fede religiosa: “I fenomeni di discriminazione sono in costante crescita” e “le autorità devono trattare questi episodi in modo serio e fornire protezione a tutte le minoranze religiose”.
Oggi secondo Human Rights Watch il Pakistan è diventato il settimo Paese più pericoloso al mondo per le minoranze religiose, anche se per il suo fondatore, il Quaid-e-Azam (Grande Leader) Muhammad Ali Jinnah, la libertà religiosa doveva essere un requisito fondamentale del nuovo stato: “Sei libero… sei libero di andare nei tuoi templi, sei libero di andare nelle tue moschee o in qualsiasi altro luogo di culto nello Stato del Pakistan. Per gli affari dello Stato non è importante a quale religione, casta o credo tu appartenga” aveva dichiarato. In realtà le discriminazioni in Pakistan iniziarono già nel 1949, subito dopo l'approvazione da parte dell’Assemblea costituente del primo provvedimento costituzionale, quella “Objective Resolution” in base alla quale tutti le leggi dovevano essere conformi ai precetti islamici. Da allora le condizioni di vita delle minoranze sono progressivamente peggiorate e hanno vissuto la concreta minaccia di matrimoni forzati, umiliazioni verbali, torture, aggressioni fisiche, stupri e uccisioni. Per questo come risulta dal recente censimento del Governo di Islamabad, la popolazione appartenente alle minoranze religiose in Pakistan è diminuita del 16% dal 1951 ad oggi, che rappresentano appena il 3,74% della popolazione totale.
Eppure la Costituzione del Pakistan dà ampio spazio alla libertà delle minoranze e il Paese è vincolato da numerosi trattati internazionali che dovrebbero tutelarle. Ma vi è un’enorme differenza tra teoria e prassi. Secondo un’analisi di AsiaNews l’articolo 27 dell’Accordo internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), "vincola il Pakistan a garantire ad ogni minoranza il diritto di professare e praticare la propria religione e usare la propria lingua in modo libero. Allo stesso modo, l'articolo 22, paragrafo 1, della Costituzione pakistana vieta alle scuole di obbligare gli studenti a ricevere istruzioni o a partecipare a una cerimonia diverse dalla loro fede”. Nonostante quanto stabilito dalla legge, il programma di vari consigli scolastici prevede l’insegnamento di versetti coranici o islamici. Agli studenti non musulmani viene chiesto non solo di leggerli, ma anche di memorizzarli e se l’etica è stata introdotta nel programma nazionale come materia alternativa all’islam, da insegnare agli studenti non musulmani, oggi, molte istituzioni scolastiche non la insegnano in quanto prive di personale docente per questa materia. “L’articolo 25, paragrafo 1, della Costituzione garantisce piena uguaglianza a tutti i cittadini. Allo stesso tempo, l’articolo 18 dell’Iccpr sancisce la libertà di adottare e perseguire la religione e la fede di propria scelta”. Tuttavia, secondo il Movement for Solidarity and Peace, circa 1.000 ragazze di età compresa tra 12 e 28 anni, di origine non musulmana (principalmente indù), sono convertite con la forza e si sposano con uomini musulmani ogni anno, ma nessuna azione viene intrapresa dalle autorità contro tali atti criminali.
Così anche se l’articolo 20 della Costituzione dà diritto a ogni fede di "stabilire, mantenere e gestire la propria istituzione religiosa", una ricerca condotta dal Center for Social Justice e dalla Commissione nazionale Giustizia e Pace, ha scoperto che negli ultimi due decenni si sono verificati più di 50 casi di attacchi criminali contro luoghi di culto delle minoranze e nello stesso periodo sono state segnalate quasi 40 azioni armate contro persone da parte di gruppi fondamentalisti. Similmente se l’articolo 36 della Costituzione pakistana protegge i diritti e gli interessi legittimi delle minoranze, inclusa la loro rappresentanza nelle istituzioni federali e provinciali, per AsiaNews “Le autorità, ai vari livelli di governo, non riescono ad assicurare la tutela degli interessi delle minoranze. L’Assemblea nazionale riserva loro 10 seggi su 342. Il Parlamento provinciale del Punjab 8 su 371; quello del Sindh 9 su 168; quello del Khyber Pakhtunkhwa 3 su 124; e il Baluchstn 3 su 51”. La questione è delicata, ma merita una maggior attenzione internazionale, altrimenti centinaia di Nadeem Joseph e Saleem Masih moriranno ancora ogni giorno e i trasgressori non sempre pagheranno per i loro crimini.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.