Libano, una catastrofe che ci riguarda

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Foto: Unsplash.com

Sono passati 20 giorni dalle devastanti esplosioni di Beirut. La città è ancora in ginocchio e gli sfollati sono centinaia di migliaia tra cui numerosi profughi siriani. Anche se stanno arrivando gli aiuti internazionali la capitale libanese è in piena emergenza, accentuata dalla presenza della pandemia e quindi dal ritorno del lockdown. Il governo si è dimesso ma le istituzioni del Libano sono nel caos e, non potendo addossare la colpa a qualche nemico del Paese o a forze destabilizzanti, devono ammettere le colpe e affrontare la rabbia popolare. Ci vorrà molto tempo per capire se il Libano reggerà a questa situazione.

Pare assodato che la catastrofe del porto sia stata determinata non da un attentato terroristico ma da una causa accidentale. Invano infatti le autorità portuali avevano denunciato la pericolosità di 2500 tonnellate di nitrato di ammonio stipate praticamente nel mezzo di una città densamente popolata. Tuttavia siamo in Medio oriente e ogni ipotesi è possibile anche quella che fosse arrivata a Beirut fosse arriva una bomba nucleare tattica poi distrutta da un missile israeliano. La notizia però non ha trovato molto riscontro.  

Forse inconsciamente, il fatto che non ci sia dietro a questa drammatica sciagura una mano umana ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo. E la notizia non ha avuto la rilevanza necessaria. Paradossalmente però questa volta è quasi più inquietante che quegli scoppi micidiali siano avvenuti per “caso”, per noncuranza, per inadempienza, per disorganizzazione e inefficienza. Forse per consuetudine: a tutti era nota la situazione critica ma dato che non era mai accaduto nulla in tanti anni…

Questa tragedia è vicina a noi e ci fa comprendere una verità scomoda ma decisiva per il nostro futuro. Siamo seduti su una polveriera. Può succedere che, da un minuto all’altro, una bomba innescata in tempo di relativa pace e non per scopi bellici esploda distruggendo all’istante il porto di una capitale mediterranea, spazzando via interi edifici con l’energia di un terremoto, danneggiando con l’onda d’urto migliaia di abitazioni. Naturalmente mietendo vittime, troppe vittime. Beirut è devastata  anche a livello morale: dopo il ripetersi di guerre sanguinose davvero questo disastro si poteva e si doveva evitare.

È accaduto e purtroppo, magari in altri luoghi, potrà accadere ancora. Troppi sono i depositi di esplosivi nel mondo, troppe le riserve di armi micidiali a cominciare dagli ordigni atomici. Per non parlare degli stabilimenti industriali non a norma o intrinsecamente pericolosi, dei rifiuti tossici, delle sostanze chimiche nocive che vengono conservate in involucri fatiscenti o trasportate per gli oceani: basta un incidente e la catastrofe naturale e umana è assicurata. Paga chi è colpito direttamente dal disastro, ma pagano anche l’ambiente circostante e le prossime generazioni.

Anche se ne avessimo la volontà, ci vorrebbero decenni per una riconversione “ecologica”, nel senso più ampio del termine. Quindi occorre almeno ridurre il danno, incamminarsi almeno nella giusta direzione. Per esempio approntando piani specifici per le emergenze, a cominciare dalle città portuali, coinvolgendo non solo la Protezione civile o le Forze armate ma pure la popolazione. In Italia ci sono città con impianti petroliferi o rigassificatori oppure che vedono transitare o attraccare ai loro porti unita militari a propulsione nucleare (Umpn): non devono essere soltanto alcune associazioni di cittadinanza attiva (come è avvenuto l’anno scorso nel caso di Augusta in Sicilia) a segnalare una minaccia che ci riguarda. Quando si tratta di rischio chimico, batteriologico, radiologico e nucleare (Cbrn) bisogna sempre tenere alta la guardia.

Articolo parzialmente pubblicato sul quotidiano Trentino

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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