Beirut ancora una volta colpita al cuore

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Foto: Unsplash.com

Non è la prima volta che il Libano, viene colpito al cuore. Questa volta la maledizione è partita dal porto, fino al centro storico con il quartiere della movida Gemmayzeh, fino sulla collina residenziale di Achrafieh. Ha seminato morte e dolore violando una comunità già distrutta da una terribile crisi economica

Questo articolo vuole essere un ricordo, l’omaggio a una terra ferita e perennemente violata, ma mai doma. Non è la prima volta. “...In questa città che brucia, che brucia nella sera che scende e in questa grande luce di fuoco per la tua piccola morte...”

Il canto di dolore di un padre di fronte alla morte violenta, a causa della guerra, del proprio figlio, travolto dai cingoli di un carro armato, è l’immagine che fotografa la sofferenza, individuale e collettiva, che un Poeta come Fabrizio De André ha saputo fissare nella canzone Sidun (Sidone), dal nome della città libanese, teatro di ripetuti massacri durante la guerra civile che sconvolse il Libano fra il 1975 e il 1990 ed i bombardamenti israeliani nel 2006.

Già dal primo viaggio il Paese dei cedri e la sua capitale Beirut mi resero loro complice, mi ammaliarono per il loro fascino ricco di storia millenaria, e benché feriti da innumerevoli conflitti e invasioni mi stupirono per la loro capacità di ricostruirsi senza nascondere agli occhi altrui le proprie cicatrici, emblemi a perenne memoria di chi ha violato ripetutamente questo angolo di mondo, crocevia di spesso inconfessabili interessi internazionali.

La convivialità fu un altro aspetto che mi colpì perché esprimeva l’anima libanese che si estendeva anche alla sua cucina che ha travalicato col tempo i confini nazionali, rendendo familiari nomi come “hummus”, “falafel” e tutta la teoria dei piccoli piatti (“mezzes”): stampini ripieni o piccoli piatti pieni di purea, insalate dosate con cura, crocchette, sfogliatine, mini spiedini ecc... che riempono la tavola permettendo ai commensali di arricchire il loro pasto valorizzando, in un senso di comunione. L’atto di intingere, di ognuno di loro, negli stessi contenitori, pezzi di pane piatto libanese (“pita”) racchiuso fra indice e pollice per cogliere i sapori di un contenuto da condividere.

Chiaccherando e bevendo “l’arak”popolare liquore al gusto d’anice, d’alta gradazione alcolica, che favorisce alleanze e amicizie.

Culture e religioni che hanno profodamente segnato la nostra civiltà si sono incrociate e sovrapposte in Libano e i segni di questo si mostrarono, evidenti e visibili, ai miei occhi percorrendo tutto il Paese, visitando le tombe di profeti come Giacobbe ed Ezechiele, le moschee sunnite , i santuari sciiti, le sinagoghe ebraiche.

In uno dei miei abituali viaggi di lavoro a Beirut, nell'autunno 2008, il nostro partner locale organizzo' una giornata di quelle che le aziende americane chiamano di "team building", ovvero il rafforzamento dello spirito di squadra fra colleghi.

“La Svizzera d’Oriente” come venne chiamata nel suo periodo d’oro, era sempre fascinosa nella sua diversità, palazzi completamente restaurati nel quartiere Achrafieh, abitato dalla comunità cristiana e altri ancora crivellati di pallottole, amaro e perenne ricordo di attacchi israeliani. Oppure con i sentori e i colori tipicamente arabi nel quartiere Hamra, abitato dalla comunità musulmana, con schiamazzi incrociati e panni stesi ai balconi, tipici del disordine delle città mediterranee.

A bordo di tre fuoristrada una decina di persone, Michel,Valery, Habib, Christiane, Roger, io stesso, ed altri il cui nome ora mi sfugge. Partenza da Beirut, a livello del mare, per inerpicarsi sui tornanti che raggiungono dopo circa quaranta minuti, il Monte Libano, quasi 3100 metri di altitudine nel punto più alto. 

Il Monte Libano è la più alta delle montagne costiere del Mediterraneo orientale e d'inverno è la meta sciistica preferita della borghesia libanese. Le sue cime innevate hanno dato al Libano il suo stesso nome fin dall'antichità, il termine “laban” infatti, in Aramaico significa "bianco" e ancor oggi, in Arabo ha il significato di "latte". 

Mi rammento che per la pausa pranzo, in uno chalet stile svizzero mangiammo un’eccellente fonduta.

Paesaggio molto simile alle malghe alpine, con boschi ormai radi di abeti, querce e cedri del Libano in alta quota, e sentieri a serpentina sui quali camminammo a lungo, per una specie di semi-maratona montana che fece molte vittime, fra cui il sottoscritto, scendendo ad est dove la montagna plana in modo vertiginoso sulla piana interna della Bekaa, un altopiano che varia tra 900 e 1000 metri di altitudine. Estendendosi da nord a sud, la Bekaa è delimitata dalle montagne del Monte Libano da un lato e quelle dell'Anti-Libano al confine con la Siria dall'altro. L’altezza media è intorno ai 2000 metri e culmina nel monte Hermon, con boschi di lecci, pini, cipressi e ginepri.

Da qui passammo per il rientro a Beirut.

Delle diciotto confessioni religiose esistenti in Libano, che si fondono con il riferimento etnico, buona parte sono presenti nella Bekaa: il nord è sciita (musulmano), il centro è cristiano (specialmente cattolico con presenza di maroniti e ortodossi), il centro-est è armeno (cristiano), il sud-est è musulmano sunnita e in parte musulmano druso e l'estremo sud-ovest è sciita (musulmano).

Aberrazioni e interventi esterni inqualificabili, inaccettabili e atroci, dovuti a motivazioni geopolitiche espansionistiche provenienti da diverse aree geografiche, hanno minato millenni di pacifica convivenza in questo angolo agricolo di centoventi chilometri quadrati.

Conservo ancora gli scarponcini da montagna ed il maglione acquistati per l’occasione in un negozio di Beirut.

Ancora una volta il Libano è stato ferito, ma, come sempre, risorgerà dalle sue nuove ceneri.

Ferruccio Bellicini

Pensionato, da una quarantina d’anni vivo nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, prima, Tunisia, ora. Dirigente di una multinazionale del settore farmaceutico, ho avuto la responsabilità rappresentativa/commerciale dei Paesi dell’area sud del Mediterraneo, dal Libano al Marocco e dell’Africa subsahariana francofona. Sono stato per oltre 15 anni, alternativamente, Vice-Presidente e Segretario Generale della Camera di commercio e industria tuniso-italiana (CTICI). Inoltre ho co-fondato, ricoprendo la funzione di Segretario Generale, la Camera di commercio per lo sviluppo delle relazioni euro-magrebine (CDREM). Attivo nel sociale ho fatto parte del Comitato degli Italiani all’estero (COMITES) di Algeri e Tunisi. Padre di Omar, giornalista, co-autore con Luigi Zoja del saggio “Nella mente di un terrorista (Einaudi 2017).

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