Balcani, attenti all’iper nazionalista

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Fermate quell’uomo. Il grido d’allarme è questo. E l’uomo in questione è Aleksandar Vucic, presidente della Serbia, considerato da molti una vera e propria minaccia per la stabilità dei Balcani occidentali. Strana parabola, quella di Vulcic. Oggi viene etichettato come “irredentista ad oltranza”, araldo e continuatore del progetto della “Serbia ovunque vi sia un serbo” che con Milosevic si era affermata nelle guerre degli anni ’90. Ieri, nel 2016, tempo della prima elezione, veniva presentato come “giovane premier liberal ed europeista di Belgrado”, amico di Angela Merkel e Matteo Renzi.

Cambiano i tempi e le tensioni balcaniche preoccupano le cancellerie europee. Ci sono le proteste in Montenegro, crescenti. C’è la nuova crisi per le targhe fra Kosovo e Serbia. Ci sono le trombe dell’annunciazione separatista della Repubblica Sepska in Bosnia Erzegovina. A fare da collante e catalizzatore di tutto è sempre Vucic, che ha ribadito la volontà di appoggiare le richieste irredentiste fuori dai propri confini nazionali ufficiali. L’interpretazione autentica di questa politica viene dal ministro degli Interni serbo,  Aleksandar Vulin. Parla di “compito generazionale” di creare “il mondo serbo”: tradotto significa puntare all’unificazione politica, istituzionale e territoriale di tutti i serbi nei Balcani occidentali”. Una cosa che ricorda, appunto, Slobodan Milosevic con la sua  “Grande Serbia”.

Le cose che allarmano, dicono gli osservatori, sono tremendamente concrete. Le scene di carri armati e aerei da combattimento lungo il confine Serbia-Kosovo hanno dimostrato l’aggressività di Belgrado. I giornali  serbi e non registrano quotidianamente il declino della democrazia e delle libertà dei media in Serbia. Vucic, infine, ha saldato l’alleanza con Russia e la Cina, utile per la politica di riarmo che sta seguendo, coerente con le voglie di espansione territoriale. Il risultato è l’instabilità politica e militare dell’intera area.

La diplomazia cerca soluzioni. C’è chi suggerisce azioni politiche forti. Ad esempio, il ritiro di Albania e Macedonia del Nord dall’iniziativa “Balcani aperti”, format creato recentemente per favorire progetti di cooperazione a livello regionale. Un ritiro che dovrebbe essere motivato proprio  dalle evidenti cattive intenzioni della Serbia, Altra proposta è quella di un  vertice multilaterale tra i rappresentanti politici di rilievo di Kosovo, Albania, Montenegro, Croazia e Macedonia del Nord, con l’obiettivo di mettere all’angolo la Serbia, di isolarla.

Ovvio, aggiungono i diplomatici, che il ruolo di Unione Europea dal punto di vista politico e la presenza della Nato, dal punto di vista militare, restano fondamentali e deterrenti. L’importante è dissuadere Vucic, fargli capire che può mostrare i muscoli fin che vuole. L’importante è che non si azzardi a sferrare un solo singolo colpo contro qualche Paese dei Balcani.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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