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Tutela della biodiversità – meglio lasciarla agli indigeni!
Conservazione
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Foto: Unsplash.com
Patagonia del Nord, isola di Guafo, circa 40 chilometri da Chiloè. I sommozzatori tornano in superficie dopo una delle tante immersioni alla ricerca di alghe sui freddi fondali dell’oceano, risalgono sulla barca da pesca intirizziti da ore trascorse sott’acqua. Una vita dura per questi uomini, tra loro Manuel Vidal che ha quasi 60 anni e ne ha trascorsi 40 lavorando al largo delle coste cilene. Manuel ha in mano un’alga piatta, coriacea e marroncina chiamata Luga, la cui stagione inizia a ottobre e finisce a marzo: un periodo durante il quale dozzine di barche salpano dal porto di Quellón e portano tra le onde uomini come lui, per 8 ore al giorno su turni di più settimane. Si immergono per ore a poco meno di 10 metri di profondità, raccolgono le alghe nelle reti e risalgono in superficie circa ogni mezz’ora, consegnando un carico di quasi 70 chili a volta. La gran parte di queste alghe entrerà nel circuito dell’industria cosmetica o diventerà carragenina, un agente addensante per l’industria alimentare.
Nei primi anni di questo lavoro, in circa 4 giorni si riusciva a completare il carico. Ora, a causa della sovraestrazione, in media servono 10 giorni per terminare. Questa è una delle ragioni per le quali un gruppo costituito da una decina di comunità indigene ha deciso di scendere in campo per la salvaguardia dei fondali. Il piano è quello di portare al riconoscimento dell’area di Guafo (oltre 2250 kmq) come “spazio marino costiero dei popoli indigeni” (ECMPO - Espacio Costero Marino de Pueblos Originarios). L’iniziativa è supportata anche da WWF, che offre una protezione più ampia sulla linea costiera per includere un monitoraggio sugli accessi e sulle tempistiche di estrazione. L’approvazione dovrebbe essere data a breve, anche se il tempo è sempre troppo per persone come Vidal, la cui vita e sussistenza dipende proprio dall’estrazione di queste alghe, alghe che in alcune zone sono sparite e non resta più nulla da raccogliere. Quello di ECMPO è un progetto in cui le popolazioni locali credono molto, soprattutto alla luce della possibilità che, se non fosse attuato, non resti più alcuna risorsa a disposizione per le generazioni future.
Non si tratta di una preoccupazione formale, teorica: non sono pochi gli adolescenti che stanno affiancando i genitori in questo lavoro, imparando tecniche perfezionate in generazioni di raccoglitori subacquei. I ragazzi progettano un subentro a tempo pieno quando avranno finito gli studi: la stagione in barca serve a molti di loro ad apprezzare le risorse che la natura offre e a imparare fin da giovanissimi a non considerarle un bene sempre disponibile, approcciandosi al lavoro con la moderazione e la gratitudine tipica di tante popolazioni indigene. E anche se questi teenager non hanno visto con i propri occhi i tempi d’oro in cui le alghe erano molto più diffuse, si rendono conto dell’importanza della tutela di aree dalle quali dipende il loro futuro e quello delle loro famiglie.
E non è nemmeno solo una questione di opportunità di lavoro. L’isola di Guafo è un sito particolarmente rilevante per la vita, la cultura e la spiritualità delle comunità Mapuche Huilliches, nonché luogo chiave per la conservazione della biodiversità marina in Patagonia, porta d’entrata per le balene azzurre che entrano nelle acque interne per alimentarsi assieme ai propri piccoli. È qui poi che vive la più grande colonia riproduttiva di berta grigia (Ardenna grisea) nel mondo, uccello considerato prossimo alla minaccia nella lista rossa IUCN. Sono dunque le caratteristiche culturali e naturali di Guafo nel suo complesso ad aver motivato questo passo verso la tutela di un’ecoregione preziosa per l’ambiente e per le comunità che lo abitano e da sempre lo conservano con dedizione e rispetto.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.