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Se la terra scende e il mare sale…
Conservazione
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Foto: Unsplash.com
“Le emissioni di gas serra del passato causeranno un forte innalzamento del livello del mare per secoli, indipendentemente dalle nostre azioni. Anche se e quando il riscaldamento globale sarà frenato, le società dovranno adattarsi e proteggere meglio la costa. L’adattamento è un obiettivo globale dell’Accordo di Parigi sul clima”. A sostenerlo è il nuovo studio “Economic motivation for raising coastal flood defenses in Europe” pubblicato lo scorso maggio su Nature Communication da un team di ricercatori guidato dal Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea, che evidenzia anche come “In assenza di un’azione per il clima e in presenza di una continua pressione demografica e di un’urbanizzazione lungo le coste, i danni annuali causati dalle inondazioni costiere nell’Unione europea e nel Regno Unito potrebbero aumentare bruscamente, esponendo 3,9 milioni di persone alle inondazioni costiere ogni anno”. Di fatto, oggi, con lo sfruttamento costiero "la terra scende" e con il cambiamento climatico "il mare sale" e salirà tra il 2000 e il 2100 di 34-76 cm in uno scenario di politica di mitigazione moderata delle emissioni, mentre con uno scenario ad alte emissioni si arriverebbe a 58-172 cm, esponendo le coste europee a livelli senza precedenti di rischio di inondazioni costiere.
L’Unione europea si è impegnata a mitigare le emissioni climatiche e ad affrontare il rischio climatico attraverso l’European Green Deal che punta a raggiungere la “carbon neutrality” entro il 2050 e ad adottare una nuova e più ambiziosa strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. Per l’Unione “oggi è fondamentale ridurre al minimo l’impatto dei cambiamenti climatici inevitabili” soprattutto “nelle zone costiere particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, che mettono a dura prova la resilienza climatica e la capacità di adattamento delle nostre comunità costiere”. Secondo i ricercatori del Jrc “Questo richiede una forte strategia dell’Ue e azioni di preparazione da parte degli Stati membri volte a ridurre la vulnerabilità dei loro cittadini e delle loro economie ai rischi costieri al fine di ridurre al minimo gli impatti climatici futuri in Europa”. Lo studio evidenzia anche come le misure di adattamento costiero possono proteggere le comunità europee dalle inondazioni costiere ed essere contemporaneamente un investimento economicamente vantaggioso visto che “Circa il 95% degli impatti delle inondazioni potrebbe essere evitato attraverso interventi mirati a proteggere gli insediamenti umani e le aree economicamente strategiche lungo la costa”.
Oggi le raccomandazioni dell’Unione per far fronte alla gestione integrata delle coste si basano sui principi stabiliti nel 2000 dal Consiglio europeo in materia di gestione delle zone costiere, sulla Direttiva Ue sulle inondazioni del 2007 e sul protocollo della Convenzione di Barcellona ratificato nel 2010. Se ad inizio secolo il Consiglio europeo ha puntato su “un approccio territoriale integrato e partecipativo per garantire che la gestione delle zone costiere sia sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico”, nel 2007 e nel 2010 l’Unione ha imposto agli Stati membri la mappatura delle zone alluvionate, l’identificazione delle risorse e degli esseri umani a rischio in queste aree e l’incremento di misure adeguate e coordinate per ridurre il rischio di alluvione, oltre a richiedere la creazione di una “coastal setback zone”, cioè una fascia costiera protetta che si estenda per almeno 100 metri verso l’interno dalla più alta linea di marea invernale. Ma si tratta di misure sufficienti? Lo studio, che ha messo insieme le proiezioni sui cambiamenti climatici e gli scenari di sviluppo socioeconomico dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), ha stimato il range previsto di perdite economiche derivanti dalle inondazioni costiere nel corso di questo secolo secondo i diversi scenari di emissione di gas serra, concludendo che “In assenza di ulteriori investimenti nell’adattamento costiero nell’Unione, l’attuale perdita media annua dovuta alle inondazioni costiere di 1,4 miliardi di euro è prevista per un aumento di 2 o 3 ordini di grandezza, che entro il 2100 andrà da 210 a 1,3 trilioni di euro”.
Una cifra incredibilmente alta, ma nel contempo decisamente credibile, se è vero che oggi in Europa ogni anno, circa 100.000 persone sono esposte alle inondazioni costiere e questa cifra, senza misure idonee di contenimento, potrebbe facilmente raggiungere gli 1,6 - 3,9 milioni entro la fine del secolo. Dallo studio emerge chiaramente che è necessario “Un approccio di adattamento diverso per ogni regione”, ma due fattori sembrano decisivi: “La concentrazione dello sviluppo umano rende molto vantaggiosi dal punto di vista economico gli interventi di salvaguardia delle coste” e che “l’investire sulla conservazione e la tutela dell’ambiente costiera è preferibile come opzione di salvaguardia” visto che le soluzioni naturali creano molteplici vantaggi oltre alla protezione dalle inondazioni, “come l’aumento dello stoccaggio di CO2, il ripristino della biodiversità e l’offerta di opportunità ricreative”. Le dighe (stile MOSE di Venezia) sono state finora l’approccio più comune e possono essere attuate in parallelo con pratiche più sostenibili, ma le prestazioni tendono a superare i costi solo nelle aree in cui la densità di popolazione è superiore a 500 persone per chilometro quadrato (e quando la corruzione, stile MOSE, non la fa da padrona).
In attesa di capire se e come quest’estate rivedremo le coste del Mare nostrum, è importante sapere che mentre l’Europa è impegnata a proteggerle dall’innalzamento del livello del mare, all’Italia spetta vigilare sulla tutela delle nostre coste, anche dalle speculazioni economiche attuali, oltre che da quelle edilizie del passato. Come ha ben sintetizzato il professor Gennaro Carotenuto su Twitter: “Gli operatori balneari (per fronteggiare la crisi, ovvio) chiedono l’assegnazione anche della spiaggia libera. Tanto a che serve... La privatizzazione di tutto l’esistente, usando il Covid19 come grimaldello, deve preoccuparci. Altro che mondo migliore...”.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.