OGM, se la natura si arrangia da sola

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Foto: Unsplash.com

Molte sono le persone che ancora provano un certo disagio nei confronti degli alimenti geneticamente modificati, considerati come non naturali e pericolosi. Tra queste anche chi scrive conserva non poche perplessità e rimostranze. Eppure pare che la natura stessa non abbia poi un così brutto rapporto con le modifiche genetiche: non poche specie di animali e piante infatti modificherebbero naturalmente i propri geni, “rubando” informazioni genetiche da altre specie per ottenere vantaggi evolutivi. 

Un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica «New Phytologist Foundation» si è concentrato sul DNA di 17 specie erbacee e ha rilevato che 13 di queste erano portatrici di materiale genetico “rubato”. Gli scienziati non sanno ancora come questi geni si siano trasferiti da una specie all’altra, ma ipotizzano che possa accadere nel sottosuolo, dove la vicinanza tra le radici può comportare delle “fusioni”. La domanda che viene da porsi è quindi: dovremmo davvero preoccuparci delle colture geneticamente modificate se il processo già avviene in natura come momento spontaneo dell’evoluzione?

Se Gregor Mendel, quando nel suo laboratorio di Brno si concentrava sugli esperimenti con i piselli, non immaginava di andar ponendo le basi della moderna scienza dei geni, è indubbiamente riconosciuto che il suo lavoro abbia dato un notevole contributo alla comprensione della trasmissione genetica: avviene dai genitori ai figli, un passaggio ereditario alla base del quale sta la combinazione dell’unicità. Premesse che sono state e sono tuttora le fondamenta della nostra comprensione dell’evoluzione, ma che – come la scienza stessa ci insegna – possono essere messe in discussione da nuove scoperte. 

Una di queste è appunto quella condivisa dai ricercatori Samuel G. S. Hibdige, Pauline Raimondeau, Pascal-Antoine Christin e Luke T. Dunning che hanno sollevato il coperchio di un vaso ancora inesplorato. Non sono però solo alcune delle piante che hanno considerato a comportarsi in questo modo: i batteri le superano quanto ad abilità nei furti di geni, capaci di assorbire informazioni genetiche dall’ambiente stesso in cui si trovano. Un processo denominato “trasferimento genetico orizzontale” che si pensa possa avere un ruolo cruciale nel campo della resistenza agli antibiotici e che, se inizialmente era considerato una prerogativa appunto dei batteri, è stato successivamente riconosciuto e documentato anche tra gli animali e le piante. Un esempio sono gli afidi, che sintetizzano un pigmento rosso per evitare la predazione, o i funghi, che condividono informazioni genetiche per assemblare composti psicoattivi.

Le piante erbacee sono il gruppo più importante da un punto di vista ecologico ed economicoi prati coprono tra il 20% e il 40% della terra e molte erbacee sono tra le più diffuse nei raccolti a livello globale (riso, mais, grano, canna da zucchero).

Se, come ci si aspettava, i ricercatori hanno rilevato che la maggior parte del patrimonio genetico di ciascuna pianta deriva dalle genitrici, lo studio ha però registrato oltre un centinaio di esempi che, per 13 delle 17 specie considerate, non raccontano la stessa storia. I risultati hanno mostrato come questi geni avessero un passato “altrove”: è noto che i confini tra le specie siano porosi in natura e che gli ibridi esistano come il risultato della riproduzione tra organismi correlati. L’ibridazione e il trasferimento di geni di fatto hanno effetti simili: generano nuove combinazioni genetiche che possono essere o non essere vantaggiose. Il fatto è che il “trasferimento genetico orizzontale” non è un processo riproduttivo e ha quindi la potenzialità di connettere in modo più profondo alcuni rami dell’albero della vita, facilitando il movimento di materiale genetico attraverso distanze evolutive maggiori. Il trasferimento genetico che avviene tra le erbacee ha ricadute sulla produzione di energia, la tolleranza agli stress e la resistenza alle malattie, garantendo un potenziale vantaggio evolutivo attraverso la possibilità di crescere più sane, alte e forti.

La domanda che resta aperta è: come questi geni si muovono da una pianta all’altra? Per ora nessuna idea. In fondo, la scienza che studia l’evoluzione si concentra su eventi accaduti milioni di anni fa, e quindi possiamo pensare – se riusciremo a far sopravvivere questa nostra sempre più fragile Terra – di aver bisogno di molto più tempo per capire i meccanismi che stanno alla base di questa recentissima scoperta. Anche se qualche ipotesi all’orizzonte emerge: per esempio il fatto che statisticamente si evidenzia un aumento nel numero di geni trasferiti tra le specie di piante che hanno rizomi, ovvero radici modificate che permettono alla pianta di propagarsi asessualmente e che sono parte di un processo utilizzato dalla pianta stessa per generarne una nuova. Il trasferimento di DNA nei rizomi potrebbe quindi essere facilitato dal contatto diretto e sotterraneo tra specie diverse, forse anche attraverso la fusione delle radici. 

Uno dei temi al momento significativi resta quello che ha a che fare con il dibattito sugli OGM e che apre ulteriori questioni: se la natura già si arrangia a modificare geneticamente ciò che le serve, perché non potremmo farlo anche noi? D’altro canto, la ricerca mostra come i geni possano liberamente muoversi tra specie erbacee a prescindere da quanto siano imparentate “da vicino”, quindi ogni gene inserito in una coltivazione modificata potrebbe “scappare” verso specie selvatiche e dare origine a quelle che vengono in gergo chiamate “super infestanti”. Non vogliamo però pensare solo al negativo: questa scoperta potrebbe ad esempio aprire scenari interessanti per quanto riguarda la resistenza delle piante agli effetti dei cambiamenti climatici. Ma il dibattito rimane necessariamente aperto, tenendo sempre auspicabilmente presente quel limite che noi umani scontiamo e che la natura non conosce: la tentazione di pensare di avere un diritto di prelazione sul mondo, dominando tutte le altre specie per utilizzarle a nostro esclusivo beneficio.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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