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Il triste destino delle aquile arpie, in pericolo per curiosità
Conservazione
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Foto: Pixabay.com
Che la caccia sia un’attività discutibile e controversa, in un mondo dove ormai sono rimasti in pochi a doverla praticare per sopravvivere, è assodato. Che a volte non si possa fare a meno di servirsene per il contenimento di alcune specie è un dato di fatto, considerato il mondo in cui viviamo e di cui – a torto o a ragione – ci sentiamo dominatori. Ma quando la caccia diventa passatempo per divertirsi, guadagnare al mercato nero o semplicemente poter guardare da vicino animali selvatici resi innocui da una morte ingiusta, inferta solo per curiosità o vanto, è intollerabile.
È quello che accade, questa volta, con l’aquila arpia (Harpia harpyja), un uccello maestoso e tra i più affascinanti della Terra che, come tutti i rapaci, non se la passa bene nel rapporto con l’uomo. Sono infatti sempre più in pericolo e, se non tutte le specie sono a rischio di estinzione, di certo quasi tutte sono molto indebolite dalla presenza umana che, anche nel caso della moria di aquile calve che colpì gli States 25 anni fa, risulta sempre condizionante e determinante per la salute dei rapaci, sia in maniera indiretta (come nel caso delle tossine presenti nelle alghe dei laghi americani) sia in modo diretto, come sta succedendo ora alle aquile arpie.
L’aquila arpia, una delle più grandi del pianeta, con un’apertura alare che va dai 2 ai 4 metri e un peso fino ai 10kg, ha uno sguardo magnetico e misterioso che lascia a bocca aperta. È una specie tipica delle foreste pluviali dell’America centrale e meridionale e condivide con molte altre specie di questi habitat le conseguenze di una deforestazione senza regole né etica né lungimiranza.
Perché tra i rapaci le specie di dimensioni maggiori sono le più minacciate?
Si tratta di creature uniche per il loro valore ecologico dovuto alla capacità di influire sulla distribuzione e sul comportamento delle prede, dalle quali la loro presenza viene percepita come un potenziale rischio e determina variazioni non solo nelle loro abitudini (si parla per lo più di erbivori), ma anche nelle caratteristiche stesse del paesaggio che occupano. Un ruolo fondamentale nell’ecosistema che, a cascata, garantisce le condizioni anche per la vita umana, ma che non sembra essere contestualizzato nella giusta prospettiva. Anzi. La loro presenza e le loro dimensioni sono considerate pericolose e inquietanti tanto che in alcuni Paesi, come ad esempio El Salvador, sono state completamente estirpate.
A questa situazione già di per sé non facile si aggiunge la minaccia dei cacciatori che perseguitano l’aquila per… curiosità. Lo rivela un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Raptor Reasearch che svela il pesante impatto sulla popolazione negli ultimi 70 anni: 132 esemplari uccisi documentati in 11 Paesi tra cui Panama e Colombia, ma probabilmente il conto aumenta con i casi di bracconaggio non registrati. Questi rapaci si nutrono di piccoli selvatici che vivono sugli alberi, tra cui bradipi e scimmie, e spesso loro stesse restano appollaiate sui rami, in appostamento anche per un giorno intero. Non hanno motivo di avvicinarsi al bestiame, eppure sono invise ai cacciatori anche per questi – presunti – motivi. Ma ragioni buone per alimentare la caccia alle aquile non mancano: dalla mancanza di conoscenza alla paura, dal rischio reale o percepito al traffico illegale di piume o artigli, dalla necessità di proteine animali a una morbosa curiosità: insomma, facili da cacciare, redditizie e anche interessanti da osservare da vicino.
La IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione) segnala per l’Harpia harpyja una popolazione in forte decrescita: nel mondo ne sopravvivono meno di 50.000 esemplari e in molti Paesi non esistono programmi di salvaguardia di questa specie, come per esempio invece in Brasile. Questo, d’altro canto, non preclude che episodi di bracconaggio avvengano ugualmente e che manchino quelle politiche di informazione e sensibilizzazione necessarie. Lo studio stesso ne incoraggia l’implementazione fin dalle sue prime pagine, a partire da provvedimenti coordinati e integrati tra ricercatori e custodi degli zoo in loco dove alcune delle aquile perseguitate e sopravvissute vivono una fase di riabilitazione e dove le persone potrebbero vederle più da vicino –vive! – e scoprirne storia, caratteristiche e comportamenti. Contemporaneamente, campagne e programmi di educazione ambientale, unitamente a proposte e attività di bird watching, dovrebbero essere potenziate per spiegare la rilevanza di questa specie per l’intero ecosistema. Sarebbero solo alcuni dei tanti modi per valorizzare forme di ecoturismo, aumentando la visibilità di iniziative rurali volte a salvaguardare le specie nella natura dove sono nate e dove, come noi e con noi, hanno il diritto di rimanere.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.