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Catture e fughe, premi e ghiacci: gli orsi sempre più protagonisti
Conservazione
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Foto: Unsplash.com
Di orsi negli ultimi tempi siamo abituati a sentir parlare più del solito, e non solo per la leggendaria odissea di M49, ricatturato per la terza volta nei giorni scorsi e ormai diventato incarnazione di quel contrastato rapporto tra uomo e fauna selvatica che surriscalda dibattiti e animi, alternando cialtronerie e competenze in un carosello che ha del surreale. Ma di orsi siamo sempre più abituati a parlare anche perché i plantigradi sono protagonisti loro malgrado delle sfide che tutti noi ci ritroviamo ad affrontare a causa dei cambiamenti climatici in atto e delle conseguenze che riversano sulle nostre quotidianità e sul nostro, comune e incerto, futuro.
Lo dimostra il fatto che, alla chiusura la scorsa settimana della sperimentale edizione 2020 del Trento Film Festival, il film di Roman Droux, Der Bär in mir, ha ottenuto – e non a caso – il Premio del pubblico Miglior Lungometraggio. Un documentario presentato in anteprima italiana che per 91 minuti invita lo spettatore in un’immersione selvaggia in quell’Alaska dove abitano più orsi che uomini, in compagnia del regista e del biologo svizzero David Bittner che da oltre 15 anni trascorre le estati artiche a stretto contatto con i grizzly. Immagini mozzafiato e di una bellezza straordinaria, che suggeriscono a noi uomini più di una domanda sulla relazione a distanza ravvicinata con gli orsi, relazione che racconta di equilibri delicati e sottili, possibili a volte proprio per la discrezione di presenza a comportamenti di noi umani.
Orsi bianchi, bruni, grizzly ma anche i più rari orsi dei ghiacciai salgono alla ribalta in questo periodo: creature rare dal tipico manto bluastro la cui sopravvivenza è indissolubilmente legata a quella del loro habitat, che si sta rapidamente e irreversibilmente surriscaldando. Tania Lewis, biologa della fauna selvatica presso il Parco nazionale e riserva di Glacier Bay in Alaska, studia la loro piccola e pressoché sconosciuta popolazione da anni: sono orsi geneticamente neri (Ursus americanus), ma il cui manto vira su sfumature argentate e blu e racconta la storia insolita di 10 popolazioni (identificate in oltre 12 anni di studi genetici su campioni di pelo e tessuti), 4 delle quali comprendenti appunto i cosiddetti “orsi dei ghiacciai”.
Separati tra loro ampi fiordi, montagne ricoperte di ghiaccio e spoglie distese gelate dove il vicino più prossimo è a oltre 100 chilometri, questi orsi occupano un territorio molto particolare, che permette lo sviluppo di “isole funzionali”, dove le popolazioni nel tempo sono cresciute geneticamente distinte. Una condizione dove il ghiaccio, come sostiene Lewis nel suo recente studio pubblicato su Ecology and Evolution, è condizione per la loro sopravvivenza anziché ostacolo a una migrazione verso aree apparentemente meno ostili. Il fatto è che i ghiacciai dell’Alaska si stanno sciogliendo, in uno dei luoghi della Terra in cui il surriscaldamento sta avvenendo più rapidamente. Senza contare che, proprio per la loro straordinaria e insolita pelliccia, questi plantigradi dei ghiacciai vengono presi di mira dai cacciatori, fatto che aggrava ulteriormente la loro condizione, riducendo il numero degli esemplari. Sono orsi che, proprio perché isolati, hanno mantenuto intatta nel tempo la caratteristica colorazione definita come “polimorfismo cromatico” e dall’altro lato non hanno finora avuto occasione di mescolarsi con altre popolazioni, come osserva Dave Garshelis, ricercatore scientifico di fauna selvatica presso il Dipartimento delle risorse naturali del Minnesota e co-presidente del Bear Specialist Group, istituito dalla Commissione per la sopravvivenza delle specie nell’ambito della IUCN - Unione internazionale per la conservazione della natura.
Una strada evolutiva percorsa sullo sfondo di un paesaggio modellato dal ghiaccio, che fino a 18.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale, ricopriva quasi tutto il sud-est dell’Alaska e che ora, con lo scioglimento in costante aumento, rischia di favorire proprio quel rimescolamento che ha impedito la “diluizione” dei geni e mantenuto le peculiarità di cui abbiamo parlato. Insomma: se il ghiaccio si scioglie, per loro – e per molte altre creature – i giorni sono contati. Si tratta di capire se vogliamo davvero continuare ad essere complici di questo countdown verso la nostra, comune e incerta, fine.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.