Cani senza guinzaglio, padroni senza responsabilità

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Foto: Unsplash.com

Con la bella stagione si moltiplicano le passeggiate e per chi ha amici a 4 zampe dai dintorni di casa ci si allarga alle campagne, al bosco, alle colline e alle vette. Come prepararsi? Il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise lo ha fatto così, rilanciando uno studio pubblicato sulla rivista «Biodiversity and Conservation» che riguarda l’interazione fra animali domestici, in particolari cani, lasciati liberi e la fauna selvatica.

La ricerca, del team tutto italiano guidato da Davide Sogliani ed Emiliano Mori del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università di Pavia, ha rilevato che dal “2002 al 2022, sono state registrate dai cittadini che hanno partecipato al sondaggio 589 aggressioni di cani ai danni di 95 specie selvatiche diverse, comprese specie a rischio di estinzione, in 162 località diverse in Italia”.

Dalla puzzola europea (Mustela putorius) all’istrice (Hystrix cristata), entrambe incluse nell’allegato IV della Direttiva Habitat (che elenca le specie sottoposte a tutela), ma anche specie endemiche come la lepre appenninica (Lepus corsicanus) e la passera d’Italia (Passer italiae), oltre il 90% degli attacchi sono stati causati da cani senza guinzaglio e in presenza del proprio padrone in aree urbane o periurbane. Così, per dire. 

Solo che i potenziali effetti negativi dei cani (Canis familiaris) sulla fauna non sono solo questi, visibili, immediati. Il disturbo lascia una scia più diffusa di eventi a cascata, creando per molte specie una sorta di “paesaggio della paura” che ci invita a una riflessione sul senso di responsabilità che tutti noi, anche noi animali a 2 zampe, dovremmo avere, perché si tratta di un tema centrale per la conservazione e la coesistenza che, si legge sulla pagina Instagram del Parco, è “da molti spesso sottovalutato per la gestione dei Parchi Nazionali e delle aree protette”.

Probabilmente perché l’argomento è controverso: sappiamo bene come i cani abbiano un impatto estremamente positivo sulle nostre vite, sia per quanto riguarda gli aspetti più fisici, sia per quanto riguarda un benessere a tutto tondo, incluso quello psicologico. Ma l’ecologia è un altro mondo, uno dove si è dimostrato che i cani “mal gestiti” sono per la fauna selvatica causa di predazioni, competizioni, trasmissione di agenti patogeni e a volte anche ibridazioni (si pensi ai lupi) e quindi rappresentano un grave fattore di rischio per le azioni volte alla conservazione.

Ora, molti si saranno risentiti, perché nessuno vuole ammettere che lasciare il proprio cane libero, soprattutto in luoghi aperti dove può scorrazzare godendosi spazi ampi di corse, odori ed esplorazioni, sia davvero un problema, anzi. E questo è l’aspetto più allarmante perché, al di là di quei problemi che hanno a che fare anche con il rispetto degli altri bipedi (per esempio di chi dei cani ha paura, anche se sì, lo sappiamo, il nostro è sempre quello buono che “non fa niente”), l’aumento del numero degli animali domestici (in costante crescita) si sta trasformando in comportamenti negligenti sempre più frequenti, che vanno dal randagismo al rapporto, appunto, con i selvatici. 

Lo studio ha lavorato analizzando campioni fecali e coinvolgendo i cittadini in sondaggi di Citizen Science e il quadro è chiaro: di tutte le aggressioni registrate, per lo più di mammiferi (tanti caprioli) e uccelli, oltre il 95% dei selvatici coinvolti è morto. E se il cibo che diamo ai cani domestici contiene spesso carne di altri mammiferi, nei campioni fecali sono stati rintracciati anche cinghiale, lepre, capriolo e pernice grigia, che non fanno certo parte degli ingredienti inclusi nella produzione industriale di crocchette e affini.

Ma, lo abbiamo anticipato, non si tratta solo di uccisioni: l’impatto dei cani liberi incide anche sulla creazione di quel “paesaggio della paura” a cui abbiamo prima accennato, ovvero luoghi in cui i selvatici sono stati disturbati e, per paura di esserlo ancora, vengono abbandonati a favore di altri più tranquilli, ma spesso meno idonei alle funzioni vitali come nutrirsi, riposarsi, accoppiarsi e crescere i propri piccoli, esponendoli così a ulteriori rischi.

Certo, i ricercatori lo ammettono per primi: i dati sono esigui rispetto al numero di cani stimati in Italia, ma si tratta quindi di un’ampia sottostima della portata reale del fenomeno, che conferma la fondamentale collaborazione richiesta, anche ai possessori di cani, per il rispetto delle regole all’interno di aree boschive e a maggior ragione in aree tutelate… perché? Lo dicono bene dal Parco nazionale, che ha lodevolmente condiviso lo studio: “Un Parco Nazionale non è altro che un luogo dove uomini e donne rinnovano, ogni giorno, la sfida della coesistenza con la natura. La scienza, attraverso i dati, ci pone delle evidenze sulle quali costruire regole per la conservazione di specie e habitat.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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