Balene, salvateci voi!

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Foto: Unsplash.com

Coda Mozza la davano per spacciata, o quasi. Già il soprannome che le avevano dato non prometteva nulla di buono per lei, una balenottera comune (Balaenopteridae) di quasi 20 metri priva di coda e perciò in seria difficoltà ad immergersi nelle profondità del mare alla ricerca di zooplancton, la sua primaria fonte di sussistenza. Due le ipotesi più accreditate per il destino della sua pinna caudale: una necrosi progressiva dovuta alle reti di un peschereccio dove può essersi impigliata, che ne avrebbe pregiudicato l’utilizzo oppure la ferita dovuta all’incontro con l’elica di una grossa nave, che può avergliela tranciata. Insomma, sempre noi uomini, ostacoli alla propulsione della natura ed elementi di disturbo – e condanna – per una vita sul Pianeta che subisce la nostra presenza troppo spesso come una minaccia.

Coda Mozza era già stata avvistata 15 anni fa dal nucleo di esperti nello studio dei mammiferi del Tethys Research Institute, organizzazione non profit per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente marino: da allora ha solcato le acque di Spagna, Francia e Grecia, percorrendo con determinazione centinaia di miglia nel Mediterraneo pur senza la pinna caudale, timone vitale per la sua sopravvivenza. A metà giugno Coda Mozza ha raggiunto le coste della Sicilia, incontrando i membri dell’associazione di volontariato Marecamp con l’equipe di biologi marini che hanno monitorato il coraggio e la caparbietà, nonché la capacità di resilienza dimostrata in questi anni anche se, com’è immaginabile, non si può dire che fosse in buona salute, emaciata e denutrita perché in grado di nutrirsi per lo più esclusivamente delle riserve di grasso accumulate.

Ecco perché quando Coda Mozza, contro ogni previsione e come in una favola, ha raggiunto il Santuario dei Cetacei di Pelagos, al largo di Finale Ligure, è sembrato un miracolo: qui può accedere al nutrimento in modo più facile e sperare di ritornare al peso medio di una balenottera come lei, che è di circa 50 tonnellate. In tanti fanno il tifo per lei. Ma perché riscuote così tanta solidarietà, in un mondo per altre strade tanto indifferente alla sofferenza, alle conseguenze delle proprie azioni, al destino degli altri esseri viventi?

I cetacei come lei sono in cima alla catena alimentare, ultimo anello di una serie di passaggi della nutrizione marina, dove la componente vegetale è costituita dal fitoplancton, che per prosperare ha bisogno di sole, sali minerali, azoto e ferro, che spesso in mare scarseggiano sprofondando negli abissi. Sono piante per lo più microscopiche che però costituiscono una massa considerevole e sono l’anello di partenza proprio di questa catena, seguito dallo zooplancton e da altri animali “erbivori”. Che sono, a loro volta, il nutrimento delle balene, esseri dalla sensibilità molto sviluppata e dall’articolata capacità di costruire comunità solidali e non violente.Delle balene abbiamo molto ancora da capire… e da studiare, compreso un effetto collaterale e inevitabile della loro vita in acqua: la cacca. Essa infatti contiene proprio sali, ferro e azoto e di solito viene rilasciata in superficie, dove c’è più luce: insomma, veri e propri fertilizzanti per i vegetali del mare che, se da un lato mettono in moto la produttività marina, dall’altro offrono un fondamentale contributo alla preservazione delle condizioni climatiche del Pianeta, con un ruolo analogo a quelle delle foreste sulla terraferma, producendo il 70% dell’ossigeno marino ed eliminando l’anidride carbonica responsabile dell’effetto serra. Senza contare che le immersioni delle balene nelle profondità del mare – quelle che a Coda Mozza è impedito di fare – creano un prezioso rimescolamento verticale paragonabile all’azione del vento sulla terra e quindi fondamentale per la produttività dei vegetali tanto quanto la loro migrazione orizzontale, che invece trasporta nutrienti da un posto all’altro. 

Un ruolo impensato nel contrasto ai gas serra che rende i cetacei ancora più importanti se pensiamo alla quantità di carbonio che, alla loro morte, sprofonda con i loro tessuti in fondo al mare: si è calcolato che, se fossero ancora numerose come prima della caccia industriale (si parla quindi di 4-5 milioni di individui), 160 tonnellate di carbonio verrebbero imprigionate in fondo al mare. Un contributo importante che però possono dare anche da vive, eliminando con la loro attività ordinaria più CO2 di quanta ogni anno ne emette un Paese come il Brasile. Un mandato che non può essere assolto in solitaria dalle balene, ovvio, ma che ci fornisce un motivo in più, al di là dell’effimera tenerezza per un esemplare sfortunato, per tutelarle e proteggerle come meritano.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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