Stop ai contratti che trivellano l’Alaska: cambierà qualcosa?

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Foto: Unsplash.com

È strano come a volte ci si prendano a cuore certe cause, pur non avendo nessun legame parentale, affettivo, geografico o economico con i luoghi e le persone coinvolte. L’Alaska per me è un po’ questo: una terra controversa e complessa, che indubbiamente l’attivismo del marchio Patagonia per la difesa del suo ambiente selvaggio e parecchi documentari e film di Festival di montagna e di natura hanno contribuito a farmi amare. Ci sono mai stata? No, o meglio, non ancora. Ma ne seguo da lontano le vicende, forse perché è una di quelle occasioni in cui sentirsi parte di un solo mondo, anche se quello che accade non è nel proprio giardino, a pochi passi da casa. Ma siamo sullo stesso Pianeta, e come capita per molte altre vicende – dalla tutela della sovranità alimentare al diritto alle migrazioni alla difesa dei popoli minacciati alla protezione della fauna selvatica e marina, solo per citare alcuni esempi – ci appartengono molte più battaglie di quelle che possiamo concretamente combattere. Ma sono battaglie che possiamo sostenere, anche a distanza, attraverso altri mezzi che abbiamo a disposizione.

Torniamo però all’Alaska. La presidenza Biden ha recentemente sospeso tutti i contratti che riguardano le trivellazioni all’interno dell’Arctic National Wildlife Refuge (ANWR), in attesa di una revisione delle scellerate decisioni del precedente governo Trump, con il quale ancora una volta si dimostra in controtendenza. Una promessa che Biden sembra voler mantenere dopo aver anticipato nella campagna elettorale provvedimenti volti alla protezione di questa tundra incontaminata che ospita, tra gli altri, renne e orsi polari, dall’indiscriminata estrazione di combustibili fossili.

Anche se il condizionale resta ad oggi d’obbligo perché lo stop non è definitivo e di fatto riguarda al momento solo la possibilità di effettuare ulteriori valutazioni per considerare il possibile impatto ambientale delle trivellazioni, si tratta in ogni caso di un passo importante, che quantomeno potrebbe finalmente aprire la strada a un’amministrazione più attenta a questo fragile territorio, punto di riferimento anche per molti animali migratori come i caribù e gli uccelli marini, rinunciando all’estrazione di oltre 11 miliardi di barili di petrolio. Inutile dire che questo provvedimento sta provocando un acceso dibattito tra chi ha a cuore l’ambiente e chi invece gli interessi economici e la sicurezza energetica del Paese. 

L’Arctic National Wildfile Refuge è una riserva naturale protetta situata nel nordest dell’Alaska, istituita nel 1960 ed estesa per quasi 80 mila chilometri quadrati che, proprio grazie alla sua natura incontaminata, è stata per lungo tempo risparmiata dalle attività di estrazione. Un tempo che si è fermato con l’amministrazione Trump, che ha avviato la vendita delle licenze per le trivellazioni nel 2017 (tra l’altro a prezzi molto concorrenziali), ma che solo nel 2020 ha potuto approvare le operazioni. Decisioni monitorate dagli attivisti che, di fronte all’evolversi della situazione, hanno fatto causa all’amministrazione, sostenendo che fossero state eseguite valutazioni di impatto ambientale frettolose e per nulla esaustive.

Nonostante certe posizioni contrastanti come quella presa a supporto del progetto Willow per l’estrazione petrolifera nel nord dell’Alaska (che, come riportato da Lifegate, potrebbe garantire alla multinazionale Conoco Philips fino a 100 barili di petrolio al giorno) e la cauta diffidenza delle comunità indigene locali e di non poche associazioni ambientaliste (tra cui Sierra Club) verso la “svolta” del governo Biden, non si può dire che questo passo non alimenti almeno in parte la fiducia che qualcosa possa cambiare: gli Stati Uniti non se la passano bene sul podio delle emissioni inquinanti e la nomina a “inviato presidenziale per il clima” nell’ambito del Consiglio per la sicurezza nazionale dell’ex segretario di stato per l’amministrazione Obama, John Kerry può essere un segnale che indica che il tema, nella squadra di lavoro del Presidente, occupa una posizione di rilievo. Adesso è tempo di avere il coraggio di agire, oltre i proclami e le cariche: se la tutela ambientale e il contenimento dei danni causati dagli effetti dei cambiamenti climatici sono davvero una priorità, ci saranno conseguenze per le decisioni messe in campo, ma non è detto che debbano essere tutte negative.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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