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Omicidi ambientali, una tragedia silenziosa
Giustizia e criminalità
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Foto: Elena Mozhvilo da Unsplash.com
“Questo report, e la nostra campagna, è dedicata a tutti quegli individui, comunità e organizzazioni che coraggiosamente prendono posizione per difendere i diritti umani, le proprie terre e il nostro ambiente. L’anno scorso 177 persone sono state assassinate per questi motivi. Ricordiamo i loro nomi e celebriamo il loro attivismo. E siamo consapevoli che i nomi di molti difensori che sono stati uccisi mancano all’appello, perché ancora dispersi, e probabilmente non sapremo mai quanti di loro hanno dato la vita per proteggere il nostro Pianeta. Onoriamo quindi anche il loro contributo.”
Sono le parole che introducono la pubblicazione del Report 2022 di Global Witness, che chiede giustizia a livello mondiale per tutti coloro che, in maniera sproporzionata, sono affetti dalle conseguenze della crisi climatica. Persone nei Paesi impoveriti, comunità indigene, donne e giovani per cui si chiede che le società internazionali rispettino il Pianeta e i diritti umani e che i governi proteggano e ascoltino i propri cittadini, riducendo la misinformazione, anche online. Ogni anno, a partire dal 2021, Global witness documenta gli omicidi di attivisti ambientali, e nel 2022 il numero è minore rispetto all’anno precedente ma resta ancora sconvolgente e inaccettabile. Perché comunque lo scorso anno, in media, è stato ucciso un attivista ogni due giorni. In dieci anni sono 1910 le persone assassinate, soprattutto in America Latina (88%).
I mandanti non sono quasi mai rintracciati e perseguiti, pur sapendo che molti di questi delitti sono collegati al business agricolo, alla gestione delle estrazioni minerarie e al disboscamento indiscriminato che compromette un bene di comunità come la terra su cui molte popolazioni indigene vivono, ma anche un bene globale come la biodiversità e le foreste. Per il vantaggio di industrie che contribuiscono pesantemente al riscaldamento globale.
La Colombia è il Paese che conta il maggior numero di vittime, tra cui anche almeno 5 minorenni. Un barlume di speranza, secondo i monitoraggi di Global witness, può arrivare dal nuovo governo di sinistra, il primo nella storia del Paese. La presidenza di Gustavo Petro ha infatti inserito nel suo programma la protezione degli attivisti, cosa impensabile nei governi precedenti. Ma la battaglia riguarda molti altri Paesi, e in definitiva il mondo intero: in Brasile, nell’ultimo anno del governo Bolsonaro, 34 attivisti sono stati uccisi, in Messico 31, nelle Filippine 11. Restano fuori da questo pallottoliere che mai si vorrebbe utilizzare tutte le minacce, le intimidazioni, i ricatti e le denunce a cui quotidianamente gli attivisti sono sottoposti, e che non vengono registrate.
La percentuale di attiviste assassinate, a livello mondiale, è dell’11%. Un dato a prima vista relativamente ridotto, ma che nasconde una realtà molto più complessa. Molte forme di violenza di genere – da quella sessuale all’allontanamento dalle proprie famiglie e comunità – viene perpetrata quotidianamente sulle donne, che affrontano attacchi su più fronti: sono perseguitate per il loro impegno come attiviste e contemporaneamente vittime di violenze gender specific.
Alcune delle persone uccise non erano nemmeno coinvolte, ma si trovavano semplicemente in compagnia della vittima designata: un aspetto che fa riflettere sull’impatto che la criminalità ambientale, così come molti altri crimini, ha sulle comunità di riferimento. Le vittime dello scorso anno includono ufficiali di stato, dimostranti, guardie forestali, avvocati e giornalisti, tutti accomunati da un impegno per salvaguardare la Terra.
Oltre un terzo (36%) degli attivisti uccisi appartiene a comunità indigene e più di un quinto (22%) sono contadini proprietari di piccole aziende agricole, tutti in profondo contatto con la terra ed estremamente dipendenti da essa per la propria sopravvivenza e per le risorse fondamentali necessarie.
La crisi climatica e la continua e crescente domanda di merci agricole, combustibili e minerali non farà che intensificare la pressione sull’ambiente – e sulle comunità che ci vivono, mettendo quotidianamente a rischio le proprie vite per difendere quelle terre. Inoltre, le cosiddette “stategie non letali”, come la criminalizzazione, la persecuzione e gli attacchi digitali restano ancora troppo frequenti quali strumenti per mettere a tacere le voci di chi si batte. Anche per noi.
Per questi motivi, anche Unimondo onora i loro nomi.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.