www.unimondo.org/Notizie/La-Terra-e-un-luogo-di-potere-239308
La Terra è un luogo di potere
Notizie
Stampa

Foto: A. Molinari ®
È trascorsa qualche settimana, ma ne scrivo ugualmente. Primo, perché non è una questione “scaduta”, anzi. Secondo, perché ci sono parole che continuano a risuonare in testa, a fare monito anche parecchio tempo dopo che le si sono ascoltate. Come per esempio queste: “La terra per noi è un luogo di potere, un potere che non esercitiamo sulla Terra, ma con la Terra, per tutelare i luoghi che sono la nostra casa”.
Le ha pronunciate Heber Tegría Uncaría, Delegato per il Popolo U’wa della Tavola Permanente Popoli Indigeni colombiani e la storia è, appunto, quella del suo popolo. Composto da circa 10 mila persone divise in 18 comunità, il popolo U’wa abita un territorio di 223.000 ettari nel Nordest della Colombia, riconosciuto dal decreto del Governo 2164/1995 e suddiviso in cinque regioni: Boyacà, Santander, Norte de Santander, Arauca, Casanare. È un’area che si estende dalle pianure orientali fino al sistema montuoso del ghiacciaio del Cocuy (Zizuma), dove l’85% della popolazione parla quasi esclusivamente la lingua u’wa, del ceppo linguistico chibcha, insegnata nelle scuole indigene fino al grado delle primarie.
La storia del popolo U’wa è salita alla ribalta delle cronache internazionali negli anni Novanta, quando il nome di Berito Cobaria Kubar’uwa, autorità tradizionale e leader politico, è diventato famoso per aver guidato la resistenza del suo popolo contro la multinazionale petrolifera statunitense Oxy (Occidental Petroleum corporation) che – e in questo caso sì per ragioni di potere che non hanno nulla a che vedere con la responsabilità verso la Terra – era intenzionata a sfruttare le risorse sotterranee dell’area. Se però, di fronte alla perseveranza pacifica degli U’wa, la compagnia Oxy nel 2002 ha accettato di “cedere” il territorio alla compagnia statale colombiana Ecopetrol, le battaglie per il popolo U’wa non sono finite. Ora è proprio la Ecopetrol a tornare alla carica, con l’annuncio dello scorso 4 febbraio di voler riprendere le operazioni di esplorazione in pieno territorio collettivo, in parte tentando di comprare il favore del popolo attraverso la promessa di finanziare scuole e strutture per le cerimonie tradizionali. Il popolo U’wa però non cede.
E lo ha raccontato qualche settimana fa in una serie di conferenze italiane, una delle quali intitolata “Dalle Ande alle Alpi. Una visione indigena per la giustizia ambientale” e ospitata dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento con il coordinamento dall’Associazione Yaku, da anni schierata in difesa della tutela delle risorse collettive, in particolare dell’acqua.
Al di là delle ragioni politiche, economiche e culturali che spingono il popolo e i suoi leader a difendere la terra anche a costo della propria stessa vita e che accomunano il popolo U’wa a tanti altri popoli, non solo in Colombia, condannati a battaglie estenuanti per la difesa dei beni comuni contro le tragiche conseguenze legate al land grabbing, è la profonda connessione spirituale con il proprio territorio che colpisce nelle parole degli ospiti al tavolo. Alla voce di Heber Tegría Uncaría fa eco quella di Liliana Roa Montañez, Dirigente sociale e difensora dei diritti umani, attivista del movimento contadino del nord est Colombia “Hermanos de Lucha de un lado al otro del Mundo” in difesa degli ecosistemi e del pianeta. Perché anche se è il popolo U’wa a vivere su quei territori e a risentire in prima persona dello scempio provocato da un estrattivismo violento e spudorato, le loro lotte sono anche nostre.
Per gli Uwa ci sono 3 mondi: quello superiore, bianco; quello inferiore, delle profondità, che è rosso; e quello di mezzo, combinazione dei due, che è azzurro. Il Planeta Azul è la nostra Terra e tutto ciò che la natura qui ha fatto esistere va difeso perché genera vita. Non prendersene cura significa autodistruggersi. È questa una delle spinte che sottendono alle loro battaglie: non si possono estrarre le risorse perché sono sacre, sia quelle sottoterra (petrolio) sia quelle dei nevai, fonte dell'acqua che è padre e madre del popolo.
La Terra si fa spazio di interdipendenza forte e irrinunciabile, che ci scaraventa senza fronzoli al centro di questioni universali: da un lato la necessità sempre più pressante di una giustizia ambientale e climatica e di un attivismo ambientalista comunitario, dall’altro il recupero di una relazione che, senza ritrosie, possiamo e vogliamo definire sacrale con la Madre Terra, che ci impone di recuperare le nostre radici e di essere al contempo molto più radicali nel proteggerle.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.