Chi salverà i profughi dalla pandemia?

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Foto: Unsplash.com

Un rubinetto ogni 1.300 persone, mancanza di sapone, famiglie costrette a dormire in meno di tre metri quadrati. Le basilari misure di prevenzione del contagio da coronavirus, come il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale, sono un’utopia per i 40 mila richiedenti asilo ammassati negli hotspot delle isole greche nel Mar Egeo. Gli hotspot sono dei centri di prima accoglienza finalizzati all’identificazione dei migranti che dovrebbero poi essere trasferiti in altre strutture. I centri di Lesbo, Chio, Samo, Lero e Kos sono progettati per accogliere seimila persone ma nel solo campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo, a settembre 2019 vivevano oltre 20mila persone come denunciò lo stessoresponsabile del centro, che si dimise per la situazione insostenibile. 

A febbraio 2020 gli isolani hanno attivato delle manifestazioni sfociate in scontri con la polizia greca. «Le frontiere dovrebbero aprirsi, in modo che quelle persone possano andare dove vogliono, finché questa guerra non finisce», dichiarava uno dei manifestanti  al corrispondente di Euronews parlando dei profughi siriani. Dimitra Kalogeropoulou, direttore dell'organizzazione per i diritti umani “International Rescue Committee” in Grecia, spiegava che «le tensioni non devono sorprendere, il sovraffollamento non fa bene a nessuno. Le comunità locali ritengono che le loro isole siano state trasformate in gigantesche prigioni, mentre i richiedenti asilo sono costretti a vivere in condizioni drammatiche».

Negli hotspot i tempi di permanenza sono lunghi e le strutture non sono sufficienti. A fine febbraio, l’UNHCR (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati) considerando le condizioni di vita vergognose nei campi, chiedeva di trasferire sulla terraferma almeno 20mila persone. 

Alle condizioni di vita già critiche nei campi profughi, si aggiunge il timore che il coronavirus si diffonda in queste strutture. Timore che inizia a diventare realtà: a inizio aprile sono stati messi in quarantena i primi due centri d’accoglienza, di Malakasa e Ritsona, non distanti da Atene. In Grecia i contagi da coronavirus sono al momento contenuti, se ne contano poco più di 2mila e i morti sono 110 (dati Oms). Le misure di contenimento sembrerebbero funzionare ma il vero punto critico restano proprio i centri d’accoglienza. Nel campo di Ritsona, il 2 aprile è scattata la chiusura totale e il personale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) distribuisce cibo e kit igienici agli ospiti del campo, che non possono più uscire neanche per fare la spesa.

La Croce Rossa Internazionale sostiene la necessità di svuotare i centri di accoglienza e di trasferire le persone in strutture più piccole perché nella situazione attuale, se si propagasse la pandemia, “nei campi si rischia il genocidio” 

Nei campi di accoglienza sulle isole, che sono quelli che versano in condizioni peggiori, il virus non è ancora entrato ma i rischi che la situazione degeneri sono alti. «In alcune parti del campo di Moria, sull’isola di Lesbo, c’è solo un rubinetto ogni 1.300 persone denuncia la coordinatrice di Medici Senza Frontiere Hilde Vochten- Le famiglie di cinque o sei persone devono dormire in spazi non superiori a 3 metri quadrati. Ciò significa che le misure minime di contenimento per prevenirne la diffusione del virus sono semplicemente impossibili».

I minori senza famiglia vivono la condizione più difficile nei campi. Completamente soli, senza punti di riferimento e con enormi traumi psicologici. L’Unicef ha diffuso un cortometraggio che racconta la vita dei ragazzi che vivono nella sezione B dell’hotspot di Moria sull’isola di Lesbo: i ragazzi sono a rischio di violenza, con un accesso limitato alla scuola, all’assistenza sanitaria e al supporto psicosociale. Alcuni di loro hanno tentato il suicidio, o praticano atti di autolesionismo praticandosi dei tagli sul corpo. La federazione nazionale di Ong FOCSIV, insieme a 67 organizzazioni italiane ed europee, chiede all’Unione Europa e ai suoi Stati membri di aprire le porte all’accoglienza di questi bambini confinati nelle isole greche. Si tratta di quasi 1.800 minori non accompagnati, senza famiglia, che non possono essere lasciati in condizioni disperate nell’eventuale scoppio della pandemia. “Chiediamo una collaborazione europea per la ricollocazione di questi bambini e chiediamo un impegno dell’Italia. L’Italia ha le risorse e le competenze per farlo. L’Italia potrebbe offrire il suo volto migliore, di solidarietà verso gli ultimi” si legge nell’appello.

Il 6 aprile anche gli Eurodeputati si sono attivati chiedendo una risposta europea condivisa per salvaguardare i rifugiati nei centri di accoglienza ellenici. Il tempo stringe.

Lia Curcio

Sono da sempre interessata alle questioni globali, amo viaggiare e conoscere culture diverse, mi appassionano le persone e le loro storie di vita in Italia e nel mondo. Parallelamente, mi occupo di progettazione in ambito educativo, interculturale e di sviluppo umano. Credo che i media abbiano una grande responsabilità culturale nel fare informazione e per questo ho scelto Unimondo: mi piacerebbe instillare curiosità, intuizioni e domande oltre il racconto, spesso stereotipato, del mondo di oggi.

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