Impigliati nelle reti del bracconaggio

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Foto: Pexels.com

Sa le anatre che stanno in quello stagno vicino a Central Park South? Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anatre quando il lago gela?” Una delle domande che hanno scritto la storia della letteratura e interrogato gli animi più delicati da quando il giovane Holden l’ha pronunciata nell’omonimo libro di J.D. Salinger. Una domanda che chi ha tenuto nel cuore la lettura del “cacciatore nella segale” come una delle pietre miliari della propria formazione si è di certo ripetuto tra sé e sé davanti a uno stagno cittadino, e più di una volta. Una domanda che forse alcuni di noi si pongono anche in questi mesi d’inverno, in cui i cieli sono un po’ più vuoti, anche quelli italiani. Già, perché gli uccelli migratori sappiamo dove sono andati: hanno spiegato le ali verso latitudini più accoglienti, in attesa di un ritorno in tarda primavera. Ma gli altri? Dove sono gli altri i custodi dei nostri cieli?

Alla fine del 2019 un’importante e diffusa operazione antibracconaggio ha smantellato le maglie strette di una capillare rete dedita al bracconaggio: 18 le persone arrestate, 46 perquisizioni in 7 regioni italiane, oltre 50 indagati tra Trento, Vicenza, Brescia, Firenze e Venezia. Capi di imputazione? Ricettazione, furto venatorio e riciclaggio. Più il sequestro di circa 1500 nidiacei, armi e materiale per il traffico illegale di animali. Un’operazione – Pullus Freedom – che ha coinvolto oltre 250 membri delle Forze dell’Ordine, per un numero stimato di uccelli trafficati di circa 20 mila unità, con lo scopo di utilizzarli come richiami vivi nei capanni dei cacciatori. Un danno al patrimonio indisponibile dello Stato stimato in centinaia di migliaia di euro, che dovrebbe farci fare non poche riflessioni.

A cominciare da quelle suggerite da CABS, organizzazione animalista antibracconaggio con sede a Bonn, ma attiva anche in Italia, che sottolinea come arresti e sequestri siano importanti e anzi fondamentali per arginare il fenomeno, ma non certo sufficienti. Perché l’attività del traffico illegale di animali non va solo conenuta, ma eradicata. Si parla infatti di un mondo sommerso di dimensioni più vaste del previsto, affrontata in generale con azioni blande e timide anche da parte del Governo Italiano, rimproverato, diciamo così, anche dalla Commissione Europea già nel 2013, quando è stata aperta una procedura di infrazione proprio su questi capi: uccisione, cattura e commercio illegale di uccelli.

Un tasso di illegalità preoccupante, che coinvolge anche gli uccelli migratori e per cui mancano risposte adeguate, a partire dall’inasprimento delle sanzioni per i bracconieri. Che le istituzioni siano complici? Senza assecondare insinuazioni non provate e senza alimentare polemiche che non risolvono il problema, certo è che sono poche le azioni concrete e mirate per contrastare il fenomeno, a partire dal Piano d'azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni con l’Accordo 37/CSR per la protezione della fauna alata italiana e rimasto a prendere polvere nei cassetti della burocrazia e della scarsa volontà di prendere in mano la situazione, soprattutto dal punto di vista della sua applicazione e delle relative contravvenzioni. Obiettivi il cui raggiungimento, pur se definito “di priorità alta”, langue sia in termini di inasprimento delle sanzioni sia per quanto riguarda il potenziamento delle polizie provinciali, che sono invece scomparse in molte parti d’Italia. 

Ecco quindi che il bracconaggio fiorisce non solo a livello “amatoriale”, ma anche con la costituzione di gruppi criminali organizzati al fine di trarre vantaggi economici dal saccheggio dei cieli. “Oggi lo Stato è dalla parte degli animali” ha recentemente commentato su Facebook il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, “e faremo il massimo per tutelare la loro vita. Facciamo parte di un unico Pianeta e noi, esseri umani, siamo solo una delle specie presenti nel mondo, e dobbiamo proteggere e rispettare tutta la biodiversità”. Dichiarazioni certo lodevoli, ma alle quali, per essere credibili, devono far seguito azioni rapide, nette e senza ombre che ancora non si vedono. La tutela della vita selvatica in tutte le sue forme non solo risponderebbe all’attuazione di piani di protezione faunistica incentivati a livello europeo, ma sarebbe anche una delle tante strade da percorrere per proteggere il nostro futuro, sia in termini biologici che in termini giuridici ed etici: fare fronte comune contro l’illegalità, avvalorando lo sforzo di chi ogni giorno investe tempo e ricerche per debellarla.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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