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Il piano dell’Unione per dare a tutti un tetto
Codici di condotta
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Immagine: Unsplash.com
“Restiamo a casa”! È questo lo slogan che ha caratterizzato molti lockdown in Europa nel 2020. Facile a dirsi, per chi una casa ce l’ha, impossibile per quelle migliaia di senza dimora che ogni notte dormono in luoghi di fortuna, tra giardini, stazioni e marciapiedi. Attualmente sono 700.000 gli homeless sparsi per l’Europa, numeri che registrano il drammatico aumento del 70% nell’ultimo decennio. La Commissione parlamentare per le petizioni (PETI) in questi ultimi anni ha ricevuto numerose raccolte firme che richiamano l’attenzione sul massiccio aumento del numero di senzatetto nell'Unione europea dovuto all’aumento dei costi degli alloggi, alle crisi economiche, alla riduzione della protezione sociale e all’inadeguatezza delle politiche in atto. La recente crisi da Covid-19 ha ulteriormente influito sull'accessibilità economica degli alloggi nell’Unione. La recessione economica e la perdita di posti di lavoro e di reddito comportano, infatti, il rischio di far aumentare ulteriormente il costo degli alloggi e di conseguenza, il tasso di senzatetto in Europa. A fare la fotografica di questa situazione sono state la Fondazione Abbé Pierre e FEANTSA, che conti alla mano hanno anche dimostrato come “mobilitando meno del 3% dei sussidi previsti dal budget del Piano di ripresa post-Covid, l’Unione europea e gli Stati membri sono in grado di ricollocare immediatamente tutti i senzatetto in Europa in condizioni dignitose per un anno intero”. Impossibile? No, tutt’altro e a dimostrarlo è stata proprio la recente pandemia di Covid-19, che contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, “grazie alle misure di emergenza per fornire un tetto ai più vulnerabili prese da tutti i paesi europei è riuscita a risolvere, in parte e temporaneamente, questo delicato problema”. Da qui si è capito “che è possibile porre fine alle sofferenze dei senzatetto se davvero lo si vuole, perché ci sono i mezzi per farlo”.
Sebbene la politica degli alloggi non rientri nella giurisdizione dell’Unione, questa può influenzare indirettamente le condizioni abitative attraverso regolamenti (ad esempio le norme sugli aiuti di Stato, il diritto fiscale e il diritto della concorrenza) e altre misure, in particolare fornendo raccomandazioni e linee guida. Per questo alcune linee guida per dare a tutti un tetto in Europa, un obiettivo che sarebbe un grandissimo successo sociale, sono state approvate nelle scorse settimane dal Parlamento dell’Unione europea con una risoluzione non legislativa adottata con 647 voti favorevoli, 13 contrari e 32 astensioni. “L’alloggio, - ha ricordato l’Europarlamento -, è un diritto umano fondamentale, perciò si chiede un’azione più forte da parte della Commissione e dei Paesi Ue per porre fine al fenomeno dei senzatetto entro il 2030”. Per farlo il Parlamento ha invitato la Commissione e i Paesi Ue “ad utilizzare gli strumenti disponibili nell’ambito del bilancio europeo a lungo termine (2021-2027) e dello schema per la ripresa e la resilienza per migliorare le opportunità di lavoro e l’integrazione sociale per le famiglie senza un impiego”. La Commissione europea è adesso chiamata a sostenere i Paesi Ue, migliorare il monitoraggio, continuare a fornire finanziamenti e presentare un quadro europeo per le strategie nazionali. Ai Paesi dell’Unione spetta invece il compito di adottare il principio di “Housing First”, che aiuta a ridurre significativamente il fenomeno dei senzatetto, introducendo piani d’azione e approcci innovativi basati sul concetto che la casa è un diritto umano fondamentale. Come? Il Parlamento ha individuato alcune raccomandazioni rivolte agli Stati membri, tra le quali “assumersi la responsabilità di affrontare il problema dei senzatetto e lavorare sulla prevenzione e sull’intervento precoce; scambiare le pratiche ottimali con altri Paesi dell’Unione; depenalizzare il fenomeno dei senzatetto; fornire pari accesso ai servizi pubblici come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e i servizi sociali; sostenere l’integrazione nel mercato del lavoro attraverso l’assistenza specializzata, la formazione e programmi mirati; fornire assistenza finanziaria alle ONG, sostenendo le autorità locali per garantire spazi sicuri ai senzatetto e prevenire gli sfratti, soprattutto durante la pandemia COVID-19”.
In Italia, come è stato per il lockdown, anche per il coprifuoco di queste settimane c’è chi non potrà rispettarlo, per il semplice motivo che una casa non ce l’ha. Per evitare multe e divieti insensati per Cristina Avonto, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fio.PSD) “È necessario trovare soluzioni veloci e sicure per le persone senza dimora” e rinnovando gli appelli fatti durante la prima ondata della pandemia ha ricordato quanto sia urgente "cambiare le politiche di accoglienza e di supporto alle persone che vivono in strada e in condizione di grave emarginazione”. Il problema, infatti, non riguarda solo la questione del rispetto di eventuali divieti e anche in Italia va affrontato con una visione più ampia, visto che coinvolge una comunità che già prima della pandemia di Covid contava circa 50.000 persone in tutto il territorio nazionale, concentrata particolarmente in ambito urbano (dove la presenza di servizi è maggiore), soprattutto in grandi città come Milano (12.000), Roma (8.000), Palermo (3.000) e Firenze (2.000). Si tratta di una comunità probabilmente destinata a crescere visto che nonostante gli aiuti pubblici stanziati per far fronte alla crisi, sono tantissime le testimonianze provenienti dalla società civile attiva sul territorio che parlano di un forte aumento delle domande di presa in carico da parte di famiglie rimaste senza lavoro e senza reddito, non più in grado di soddisfare le spese primarie, tra le quali, oltre alle spese alimentari, ci sono anche le spese per l’abitazione.
Per Vita Casavola, coordinatrice del gruppo di lavoro “Salute” della fio.PSD e operatrice della Fondazione Casa Della Carità Angelo Abriani di Milano, “In assenza di una strategia coordinata a livello nazionale di protezione delle persone senza dimora dalla pandemia di Covid-19 e tanto più di risorse dedicate, la governance dell’emergenza è stata fino ad oggi delegata a livello regionale e spesso alla creatività, all’intraprendenza e alla “resistenza” messa in atto dal mondo del terzo settore e dell’associazionismo. In particolare, soluzioni e sperimentazioni per tentare di approcciare i bisogni dei senza dimora e di dare continuità ai servizi sono state osservate quasi esclusivamente laddove la gestione del problema è storicamente più radicata e dove vi erano risorse ad hoc già stanziate, come per esempio in Lombardia quelle del Programma operativo nazionale (PON) “Inclusione” del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell’Unione europea, creando così forti disomogeneità territoriali”. Anche se le situazioni vissute dai senza dimora sul territorio nazionale si sono diversificate sulla base dei contesti sociali e dei servizi offerti, in generale vi sono stati comunque fattori comuni: “maggior solitudine, maggior isolamento e aggravamento dei bisogni primari (cibo, igiene ecc.)". Inoltre, è stato osservato che la pandemia ha provocato in tanti senza dimora rimasti in strada, "un incremento di alcuni sintomi di scarsa salute mentale, quali angoscia, ansia, una grave insonnia (talvolta automedicata con l’abuso di alcool) e disturbi somatoformi tali da essere ascritti, in alcuni casi, in un disturbo acuto da stress e che nell’attualità possono sfociare in disturbi post traumatici da stress". Aspettando che tutta Italia faccia tesoro delle tante (ma non sempre sufficienti) risposte virtuose messe in campo dal mondo dell’associazionismo e recepisca le nuove line guida europee, per la Casavola “Occorre porre tra le massime priorità dell’agenda politica e del governo la protezione dall’epidemia delle persone più fragili”, tornando così a tutelare il diritto alla salute di tutta la popolazione.
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.