www.unimondo.org/Guide/Politica/Codici-di-condotta/Anacardo-un-super-alimento-a-rischio-156270
Anacardo, un super alimento a rischio
Codici di condotta
Stampa
Ai cajou (o cashew nella versione inglese) lego un ricordo a doppia mandata. Ogni volta che li vedo o li mangio penso a quei sacchetti di plastica da mezzo chilo che compravamo per le strade di Maputo o direttamente dai ragazzini che li vendevano sulle piste sterrate che si srotolavano davanti al pullman su cui viaggiavamo. Penso alle energie e alle forze che mi hanno aiutato a recuperare dopo una brutta esperienza virale. Sono stati momenti in cui ho approfittato di un toccasana prezioso, che in Italia non era poi così noto. I cajou subivano ancora la concorrenza imbattuta delle arachidi, non erano di facile reperibilità e, quando si trovavano, costavano come l’oro. Non che il prezzo sia ora dei più popolari (la frutta secca in generale ha questo destino, basti pensare ai pinoli), ma negli ultimi tempi il consumo di questo seme è inflazionato. Perché?
Quello che si chiama anacardo, frutto dell’omonimo albero (Anacardium occidentale) è in realtà la parte polposa del frutto. Come ben ci racconta Isabella Massamba direttamente dal suo blog su Greenme in un dettagliato articolo sul cajou, dal quale questo pezzo trae spunti e riflessioni, quella che invece noi mangiamo e troviamo in commercio alle nostre latitudini, ovvero quella piccola mezzaluna di colore chiaro, è il seme del frutto (o falso frutto), e pochi forse sanno che allo stato naturale contiene urushiolo, sostanza velenosa presente nelle piante del genere Toxicodendron (quelle come la poison ivy americana, per intenderci la cosiddetta “ortica del climber”), nelle Anacardiaceae appunto (a cui appartengono anche il mango e il pistacchio) e in altre piante come ad esempio il Ginkgo biloba. Oltre a questo troviamo anche, ad alto grado di tossicità, il cardanolo e gli acidi anacardici. Se si mangia il seme appena colto, si corre il rischio di subire sfoghi allergici, lesioni in bocca, forti dermatiti e persino shock anafilattici. Ecco perché gli anacardi che noi mangiamo sono stati prima “processati”, ovvero cotti a vapore (nella versione raw, per crudisti) e poi tostati o salati, prima di essere utilizzati come materia prima per originali pesti vegani o come piccole “perle nutritive”, ricche di oli, minerali, fibre, proteine e… anche nichel. Ecco perché il loro consumo dev’essere moderato, soprattutto nei soggetti allergici a questa sostanza che troviamo anche nei gioielli e nei capi di abbigliamento.
Come capita spesso, le ragioni per non farsi prendere la mano e lasciarsi andare ad un consumo sfrenato di questo “superfood” non sono solo adducibili a motivazioni economiche o di salute. Anche per gli anacardi, si comincia a sentir parlare di “blood cashew”: insanguinati i diamanti, insanguinati il coltan, il cioccolato e l’olio di palma e … anche gli anacardi. La loro estrazione è un lavoro difficile, pericoloso, sottopagato, che induce i lavoratori a un contatto costante con sostanze tossiche e con i fumi della tostatura. Nonostante il frutto sia molto conosciuto in centro e sud America e nell’Africa subsahariana, il maggior esportatore a livello mondiale è il Vietnam. Ed è proprio lì che i detenuti e le persone che seguono percorsi di riabilitazione dalla droga vengono costrette a lavorare in fabbriche che assomigliano molto più a prigioni, dove rinchiusi per 10 ore al giorno producono anacardi per conto di ditte americane ed europee senza il rispetto di standard di sicurezza minimi e con metodi di controllo paragonabili alla tortura (file controllate dalla polizia che disciplina i lavoratori con la violenza).
Sempre la Massamba ci ricorda che in India, dove viene lavorato il 60% della produzione mondiale di anacardi, la situazione non migliora: qui troviamo soprattutto donne costrette a turni massacranti in pessime condizioni di lavoro sottopagato, che oltre a non permettere il sostentamento proprio e delle famiglie, causa alle operaie anche danni permanenti da un punto di vista della loro salute.
Ben lungi quindi dal criminalizzare qualsiasi alimento (gli anacardi sono preziosi alleati delle diete vegetariane e vegane), è necessario segnalare questi abusi e prenderne coscienza, perché come consumatori, che lo si voglia ammettere o no, siamo complici responsabili di queste dinamiche. Lo abbiamo detto per le mandorle, per il caffè, per la quinoa, lo diciamo adesso anche per gli anacardi come per molti altri prodotti: preferiamo l’acquisto di alimenti certificati, provenienti dal commercio equo e garanzia quindi del rispetto dei diritti dei lavoratori, oltre che della qualità e del gusto della materia prima!
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.