La scheggia impazzita di Israele

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Bandiera di Israele

I fatti. Sono i fatti a raccontare che il pericolo si allarga come una macchia d’olio, come un cancro, come un’orda di cavallette fameliche e distruttrici. Sembra non ci siano più limiti per lo Stato di Israele e sempre più Tel Aviv, con il suo attuale governo “democratico”, appare come il vero, principale pericolo per il Mondo.

I fatti, dicevamo: in poche ore, fra lunedì e mercoledì di questa settimana, le forze armate israeliane hanno lanciato sei attacchi contro altrettanti Paesi sovrani. Partiamo dall’attacco aereo su Doha, capitale del Qatar, il più clamoroso. Nel mirino è finito il complesso residenziale in cui la dirigenza di Hamas stava discutendo il cessate il fuoco proposto dagli Stati Uniti per Gaza. Sono stati sei i morti: il figlio del leader di Hamas Khalil al-Hayya, il direttore dell’ufficio di al-Hayya, tre guardie del corpo e un agente di sicurezza del Qatar. L’indignazione internazionale, a parole, è stata globale.

Ma Tel Aviv aveva iniziato il giorno prima, quando aerei da guerra con la Stella di David avevano bombardato il Libano meridionale. Qui l’obiettivo dichiarato erano depositi di armi e strutture di Hezbollah: nessuno, ovviamente, ha potuto verificare. Certamente, non lo hanno fatto i cinque morti sotto quelle bombe. E’ stata l’ennesima violazione – una specialità di casa Netanyahu – del cessate il fuoco siglato lo scorso novembre del 2024 con il governo libanese. Violazione che prosegue con l’occupazione illegale di una parte del Paese.

La notte precedente, le forze aeree israeliane avevano colpito in Siria, in particolare una base aerea del governo siriano a Homs e una caserma a Latakia. A denunciare il tutto è l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che – badate bene – ha sede in Inghilterra. Secondo l’Osservatorio, nel 2025 Israele ha attaccato 100 volte la Siria, prevalentemente con l’aviazione e in 11 casi con truppe di terra. I morti totali sono 61. Mercoledì è stato, invece, il turno dello Yemen. Nuovamente sotto attacco la capitale San’a. E’ stato colpito l’aeroporto, già sotto tiro lo scorso 6 maggio 2025. Il 28 agosto, invece, era stato bombardato l’edificio che ospitava la riunione del governo yemenita. Era stato ucciso il primo ministro Ahmed al-Rahawi. Qui, per Tel Aviv i cattivi sono gli Houthi, organizzazione politico-militare sciita che governa il Paese dal 2015 e che si è schierata apertamente dalla parte dei Palestinesi. Uno schieramento armato, dato che sono gli Houthi – ricordiamolo – a bloccare da più di un anno e mezzo la circolazione delle navi mercantili israeliane e dei Paesi alleati di Tel Aviv lungo la rotta del Mar Rosso – canale di Suez.

Nel mirino di militari e governanti israeliani sarebbe finita anche la Global Sumud Flotilla (GSF), la flottiglia di barche della società civile che, da tutto il Mediterraneo, è partita per tentare di forzare il blocco di Gaza. Lunedì 8 settembre un drone misterioso, ma attribuito a Israele, ha colpito la Family Boat, la nave principale della flottiglia che batte bandiera europea. Un’altra nave, l’Alma, sempre con bandiera europea, sarebbe stata colpita da un secondo drone martedì sera, il 9 settembre. Non ci sono stati morti e feriti e la Guardia di Sicurezza tunisina nega tutto. I filmati, però, sono inquietanti e mostrano con una certa chiarezza i colpi che arrivano misteriosamente e silenziosamente dall’alto.

Anche qui, tutto è avvenuto al largo della Tunisia e Israele ha una lunga tradizione, iniziata nel 2010, di assalti in acque internazionali a barche e flottiglie che cercavano di forzare il blocco navale che Tel Aviv ha imposto da sempre a Gaza. Proprio qui, a Gaza, arriviamo per raccontare di altri attacchi mortali da parte delle forze armate di Tel Aviv. Anche in questo caso, è sempre bene ricordarlo, parliamo di un territorio che non appartiene a Israele, in alcun modo. Da lunedì, la Striscia è costantemente sotto attacco. I morti sono almeno 150 e i feriti 540. Sotto attacco sono grattacieli, strutture residenziali e infrastrutture, tutto ciò, in pratica, che toglie sicurezze e riparo alla gente, costringendola alla fuga. Dall’ottobre del 2023, i morti hanno toccato quota 64.600. Tra loro, almeno 404, ad oggi, sono stati uccisi dalla fame.

Questo il sudario che avvolge la Terra, grazie alla scheggia impazzita che si chiama Israele. Non ci sono più regole internazionali per il governo Netanyahu. Invocando il diritto ad una presunta sicurezza e piangendo le lacrime delle “eterne vittime di ogni ingiustizia”, il Primo ministro bombarda impunemente, continuamente, altri strati sovrani, altri popoli. Facciamo attenzione: lo fa con l’appoggio di larga parte del popolo israeliano, a dispetto delle grandi manifestazioni di oppositori che vediamo in televisione. Gli israeliani di oggi sono cresciuti e sono diventati adulti nella mistica della “Grande Israele” e del vittimismo che giustifica ogni loro atto.

Tel Aviv colpisce, implacabile, quando e come gli pare, nella certezza dell’impunità interna e internazionale. Una impunità che, sul tavolo della geopolitica, gli viene dalla fedeltà del Grande Fratello statunitense. È buffo: sembra essere Washington ad adattarsi alle politiche di Tel Aviv, non il contrario. E a favore di Israele gioca anche la ambiguità ipocrita e pelosa dell’Europa, che non si è accorta che gli israeliani di oggi non sono più figli, in alcun modo, di quelli che l’avevano abbandonata negli anni drammatici del dopo Shoah, del secondo dopoguerra. Questi sono israeliani 2.0, intrisi di una ideologia razzista, nazionalista e teocratica, capaci di usare il ricordo dell’orrore e il nome di un dio per giustificare ogni nefandezza.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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