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Caffè macchiato, corretto o magro?
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Qualche anno fa girava spesso in radio una canzone di Jarabe De Palo che si intitola La Flaca. Evocava la femminilità rotonda di un’isola allungata sul mare e al contempo ci faceva guadagnare familiarità con il termine flaco, che in spagnolo ci parla di scarsità, debolezza, magrezza. “La flaca duerme de día, dice que así el hambre engaña”… cantava così una delle strofe, ma oggi noi non parliamo di quella flaca che quando viene la sera poi scende a ballare… Oggi parliamo “de los meses flacos”, dei mesi di magra che gli inglesi chiamano “thin months” e di chi la fame la deve ingannare ugualmente, e non di certo dormendo.
Cominciamo ponendoci una domanda: cosa faremmo noi se potessimo sfamare la nostra famiglia solo per 6 mesi all’anno? Questa domanda purtroppo sono costrette a farsela ogni anno le famiglie di contadini che coltivano caffè dal Nicaragua al Rwanda a Sumatra. Perché la stagione del raccolto copre davvero pochi mesi, precisamente da novembre a febbraio. Questo significa che alla fine di maggio la maggior parte delle famiglie ha speso la quasi totalità del denaro guadagnato e non riesce più ad essere autosufficiente, proprio nel periodo in cui i prezzi del grano raggiungono i picchi più alti. Con risorse finanziarie ridotte ai minimi termini e prezzi fuori portata delle food staples, degli alimenti di base della propria dieta, le possibilità di alimentarsi correttamente e di soddisfare il proprio fabbisogno calorico quotidiano sono decisamente esigue. Le conseguenze - che sono poi reazioni inevitabili per poter sopravvivere - sono allora: che le famiglie non variano la propria dieta, mangiando sempre gli stessi cibi ma riducendone notevolmente la quantità; che mangiano cibi a buon mercato ma di scarsa qualità; che si indebitano per acquistare beni alimentari.
Un breve ma intenso film-documentario porta sugli schermi proprio la storia di alcune di queste famiglie e racconta le soluzioni possibili messe a coltura. Sì perché in After the harvest: fighting hunger in the coffeelands si parla proprio di questo, di riorganizzare le coltivazioni assieme a chi quelle terre le abita e meglio di chiunque altro né conosce le caratteristiche. Girato nel 2010 dalla Optic Nerve Production e proposto nel palinsesto del Festival di Cinema, Cibo e Videodiversità Tutti nello stesso piatto, il film ci racconta di quella “food insecurity” che, essa stessa stagione tra le stagioni, ogni anno sottopone a un’insicurezza pressante gli agricoltori, senza che né l’industria del caffè né i consumatori ne siano al corrente.
L’aspetto più interessante di una serie di progetti innestati in queste zone è probabilmente che essi devono la loro solidità alla forte rete comunitaria che ne ha permesso non solo la realizzazione ma che ne ha anche decretato il successo. Un approccio sostenibile che non si basa solamente sulla coltivazione di cibi durante la stagione “di magra” o sulle entrate derivanti dalla vendita di questi prodotti, ma che trae un valore aggiunto dalla forte implicazione delle persone e delle famiglie che, proprio come doni, ricevono e regalano risorse: emblematico il maiale a cui fa riferimento uno degli agricoltori intervistati, ma significative anche le competenze acquisite in apicoltura, nella coltivazione di funghi, nella gestione di orti comunitari e nella preparazione di compost biologico. Una serie di azioni messe in atto per ridurre la dipendenza dalle coltivazioni di caffè che sanciscono il buon esito di questi progetti.
E’ del 2014 infatti l’ultimo rapporto che ci aggiorna sul miglioramento delle condizioni di 179 piccole fattorie a conduzione familiare dal 2007 ad oggi, attribuibile sì ad iniziative di diversificazione delle colture, ma anche a quella che una delle voci del film definisce come pratica di “tramandare il dono”. Attraverso la sottoscrizione di un “patto di condivisione”, grazie al quale ciascun partecipante accetta di condividere con altre famiglie tante risorse quante ne ha ricevute, negli anni, di mano in mano e di campo in campo, sono passati semi, animali, api e abilità, assicurando che, finalmente, i successi e i benefici siano un frutto per tutti.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.