www.unimondo.org/Guide/Guerra-e-Pace/Riconciliazione/Corea-del-Nord-tra-fame-anti-socialismo-e-nucleare-206816
Corea del Nord: tra fame, “anti-socialismo” e nucleare
Riconciliazione
Stampa

Foto: Unsplash.com
La Corea del Nord è isolata dalla comunità internazionale (se escludiamo Cina e Russia) ed è sottoposta da anni a restrizioni commerciali per il suo programma atomico e missilistico. Come se non bastasse il perdurare dell’emergenza Covid-19 e una serie di tifoni che hanno colpito il Paese la scorsa estate hanno indebolito un’economia compromessa dalle sanzioni. Già in uno studio del 2017 le Nazioni Unite avevano evidenziavano il progressivo aggravarsi del problema della malnutrizione in Corea del Nord, sostenendo che “circa 18 milioni di persone, tra cui 1,3 milioni di bambini sotto i cinque anni, sono malnutriti a causa delle misere razioni di cibo distribuite dallo Stato”. In un’indagine fatta nel 2019 sempre dalle Nazioni Unite è emerso che quell’anno “la produzione agricola nordcoreana ha toccato il livello più basso dal 2008” e quasi “Il 40% della popolazione nordcoreana si trova ad avere urgente bisogno di cibo”. Sempre quell’anno a causa di alte temperature, siccità, inondazioni e sanzioni imposte dalle Nazioni Unite in Corea del Nord mancavano 1,4 milioni di tonnellate di cibo, tanto che per contrastare l’emergenza, il Governo di Pyongyang è stato costretto a dimezzare le razioni statali che sono diventate in media di circa 300-380 grammi per persona, la metà dei 600 grammi che l’Onu raccomanda come fabbisogno giornaliero minimo.
Il 2021 non sembra registrare cambiamenti visto che secondo il Dipartimento Usa dell’Agricoltura (USDA) “il 63% della popolazione nordcoreana rischia la fame” e “più di 16 milioni di nordcoreani si sono trovati in una situazione di insicurezza alimentare nell'ultimo anno”, assumendo meno di 2.100 chilocalorie al giorno. Il dato peggiore in Asia dopo quello dello Yemen (92%) e Afghanistan (67,3%), due zone di guerra. A gennaio durante l’ultimo Congresso del Partito dei Lavoratori, al potere dalla fine della Seconda guerra mondiale, il leader nordcoreano Kim Jong-un ha stimato per quest’anno una crescita delle entrate statali dello 0,9%: il tasso più basso dalla grande carestia di metà anni Novanta del secolo scorso. Per far uscire la nazione dallo stato di crisi e limitare gli effetti della pandemia e delle sanzioni internazionali sponsorizzate dagli Usa, l’uomo forte di Pyongyang sembra adesso voler puntare sull’autosufficienza e sull’autarchia che ricorda la gestione economica del ventennio fascista. Per questo l’obiettivo del nuovo piano quinquennale, approvato in occasione della chiusura del Congresso il 12 gennaio scorso, è quello di innovare settori come costruzioni, trasporti e comunicazioni, con un’attenzione particolare alla telefonia mobile e allo sviluppo di un’industria nazionale dell’energia nucleare. Per questo Kim ha esortato i nordcoreani a condurre una “disperata lotta" per "contribuire allo sviluppo della nuova strategia economica". Tradotto: lacrime e sangue.
Annunci ed esortazioni a parte, al momento non vi è alcuna traccia di un impegno del regime per avviare le riforme economiche teorizzate, se non il classico e dispotico approccio di Pyongyang, che ha sostituito tutti i responsabili della politica economica rei, secondo il primo ministro Kim Tok Hun, di “seri errori commessi nel mettere in atto l’ultimo piano quinquennale”. Ma a quanto pare i dirigenti economici non saranno gli unici a pagare l’incompetenza e l’isolamento di Pyongyang visto che Kim Jong-un in febbraio ha ordinato l’ingrandimento dei campi di prigionia del Paese. Secondo il Daily NK, che cita fonti sul posto, “la mossa preannuncerebbe una campagna di arresti per debellare ogni forma di anti-socialismo, non-socialismo, settarismo, burocratismo, corruzione ed evasione fiscale”. Secondo i dati disponibili, attualmente in Corea del Nord esisterebbero almeno cinque campi di lavoro per i prigionieri politici gestiti dal ministero della Sicurezza statale e dal dicastero della Sicurezza sociale. Per il Daily NK, dallo scoppio della pandemia, “il numero dei detenuti nel Paese è cresciuto in modo significativo: molti nordcoreani sono finiti nei centri di detenzione del regime per aver infranto le regole sulla quarantena, minacciando così l’economia nazionale”. Ma il rafforzamento delle strutture carcerarie si spiega anche con la recente adozione di una legge per contrastare il “pensiero reazionario”, che punisce i suoi trasgressori con la pena di morte o con i lavori forzati. Secondo molti analisti questo nuovo giro di vite in Corea del Nord coincide con la necessità di promuovere l’unità interna e puntellare le basi sociali ed economiche del regime che con il coronavirus e le inondazioni dei mesi estivi ha visto peggiorare la crisi economica della nazione, già segnata da anni di sanzioni internazionali per il suo programma nucleare.
Per l’intelligence di Seoul, anche se quest’anno il Nord produrrà circa 1,3 milioni di tonnellate di cibo in meno, un dato che mette già in luce i limiti della politica di “autosufficienza” economica contenuta nel nuovo piano quinquennale, Kim (come ha ricordato lui stesso chiudendo il Congresso del Partito dei Lavoratori) non abbandonerà gli sforzi per rafforzare il suo arsenale nucleare perché “Gli Stati Uniti sono ancora una minaccia e il nostro nemico principale”. Anche se non sembra, le sue parole sono meno bellicose del solito e lasciano aperte “molte possibilità” di dialogo dopo gli altalenanti rapporti con Donald Trump e la precedente amministrazione USA che nonostante tre vertici non hanno sbloccato lo stallo nei negoziati con Washington sul disarmo nucleare. Seoul è convinta che prima di sbilanciarsi ulteriormente nel campo del nucleare bellico il regime del Nord valuterà le prime mosse del nuovo presidente a stelle e strisce Joe Biden, mantenendo per il momento un profilo basso, ed evitando contrasti e problemi con gli Stati Uniti e con la Corea del Sud. Saprà Biden normalizzare i rapporti con Kim? Da questo dipenderà il destino, anche alimentare, di migliaia di nord coreani!
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.